locandinaACDCCi sono eventi che ti emozionano già prima che lo spettacolo cominci. Grandi eventi fatti per essere ricordati con piacere tra una quarantina di anni, quando con una non celata soddisfazione potrai dire: “io c’ero”. La calata degli AC/DC in Italia dopo la data di Udine del 2010 era partita col botto già a dicembre, con 75000 biglietti venduti ad appena un quarto d’ora dall’apertura dei box office. Il bel paese ha sempre seguito con calore Angus e soci, che per l’occasione hanno voluto rincarare la dose e offrire ai loro adepti un concerto in vero stile anni ’80. Niente pacchetti vip o altro. Location immensa (piazzale della curva Rivazza) e vecchia formula “chi prima arriva meglio alloggia”.

Ecco che partiamo da casa alle 8 e a mezzodì, saltate scaltramente le code per viette secondarie, ci si accoda ad un serpentone già incredibilmente lungo per l’orario… Pazienza, Barley Arts stavolta ha fatto le cose in grande. Centinaia di persone a garantire un accesso fluido e costante, praticamente senza attese e nel pieno della sicurezza. Sorpresa, i cancelli aprono tre quarti d’ora prima. Un telone gigantesco ritrae i nostri che ci accolgono con un “Benvenuto” che ti fa sentire a casa. Si accede al rettilineo del circuito per poi arrivare nell’arena, il palco immenso che si staglia sul pubblico già numeroso. Tra merchandise, ristori, info point e bagni numerosissimi c’è la sensazione che la macchina mostruosa messa in piedi giri alla perfezione, tanto che sembra di essere ad una manifestazione straniera. Bisogna aspettare le 17 perché qualcosa si muova nel palco. Comincia allora l’intrattenimento di Virgin Radio, con quella vecchia volpe di Ringo che, fiutato l’affare mediatico, si presenta con tutta la ciurma e fa passare decisamente più velocemente le ore che separano l’inizio dello show. E’ vero, molta gente è lì per moda, magari non sa nemmeno una canzone dei nostri, ma tant’è che la frase della giornata è a firma del Ringaccio e della sua cricca: “Vasco riempirà pure gli stadi… Ma gli AC/DC riempiono un autodromo!”.

Sono le 19:45 in punto e puntualissimi arrivano i Vintage Trouble, fenomenale band di Los Angeles che sembra essere uscita da qualche macchina del tempo. Anni 50 all’ennesima potenza, con un cantante fuori dal comune. L’amore del gruppo australiano verso il blues ha pesantemente influenzato la scelta del combo spalla, che comunque dopo dei pallidi fischi iniziali sa conquistare il pubblico di oltre novantamila persone. Una scena su tutte, il memorabile stage diving del cantante sul pit, mentre mima una nuotata… Uno dei migliori opening act che ricordi. Sono le 21:15 quando, con un leggero ritardo sul piano di marcia le luci si spengono e parte il filmato che fa da intro. Dopo il tremo infernale di cinque anni prima, ora tocca alla luna, dove due malcapitati astronauti assistono impotenti alla nascita di un meteorite che si scaglia a folle velocità sulla terra. Lo schianto fragoroso del corpo celeste sul suolo terrestre è seguito dall’entrata in scena della Gibson Diavoletto. Folla in delirio per l’ingresso sul palco dello scolaretto senza età, sua maestà Angus. Come da tradizione, si apre con uno dei singoli estratti dall’album che dà il nome al tour. Giusto il tempo per Brian Johnson di scaldare l’ugola e giù con il primo classicone, “Shoot to Thrill”. Non si riesce più a stare fermi. Si salta e si balla, con il timore svanito che l’età possa tradire le corde vocali del singer. Si procede con un tuffo nel passato, nell’era Bon Scott di Let There Be Rock per poi tornare allo stra-osannato Back In Black e alla sua Title Track. Altro singolo dell’ultimo album, “Play Ball” per poi passare ad una accoppiata micidiale. “Dirty Deeds Done Dirt Cheap” e “Thunderstruck” mettono a prova il gruppo, con un pubblico che quasi sovrasta gli strumenti. Gli australiani dimostrano di essere in palla, rodati e oliati come una perfetta macchina del rock. Il batterista, probabilmente il più tecnico mai avuto dal gruppo, martella un incedere marziale ai tamburi, mentre la scena è completamente monopolizzata dal duo Johnson-Young. Momento nostalgico con la bellissima “High Voltage” prima di ritornare in territori più moderni con “Rock ‘n’ Roll Train”. Giro di boa ed ecco scendere la campana per l’anthem per eccellenza. “Hells Bells” viene proposta con tutti i crismi del caso, con un pubblico quasi in trance per uno dei riff più famosi del rock. Giusto il tempo per capire se si stia sognando o meno ed ecco che dopo un’altra breve incursione nell’ultimo album i nostri sparano a raffica “You Shook Me All Night Long”, “Sin City”, “Shot Down In Flames” e “Have a Drink On Me”. Ci si avvia verso la chiusura dello spettacolo. Certo, gli anni sono passati: siamo di fronte ad un gruppo di sessantenni che tra una canzone e l’altra deve un attimo riprendersi, il cantante non si aggrappa più al batocchio della campana infernale e Angus non ci propone più il suo storico spogliarello. Ma la passione messa nel suonare è portentosa, specie con una cornice di pubblico di queste dimensioni. Si chiude con “T.N.T” e “Let There Be Rock”, con tanto di assolo di chitarra di venti minuti. Senza dimenticare poi la vecchia e cara Rosie… Le luci si spengono, solo per creare l’hype giusto. Si perché manca lei, la più famosa tra le famose; l’autostrada per l’infermo. Delirio puro per una folla che acclama l’arrivo dei cannoni. E proprio loro scandiscono il saluto della band australiana ai propri fan italiani con “For Those About To Rock (We Salute You)”. Fuochi artificiali accompagnano l’uscita di scena degli artisti…

Che dire, un concerto da consegnare, per atmosfera e numeri, ai posteri. Magari loro sono stati un tantino freddi col pubblico, ma la tecnica e l’esecuzione hanno fortunatamente fatto dimenticare le performance di cinque anni prima. Aspettiamo di rivedere presto le corna della Diavoletto dal vivo…

(Enrico Burzum Pauletto)