copSlayer(Nuclear Blast) Sono passati ben sei anni dall’uscita di “World Painted Blood”, l’ultimo album pubblicato dagli Slayer con la formazione storica, quella che ha registrato capolavori assoluti del thrash metal come “Hell Awaits”, “Reign In Blood”, “South Of Heaven” e “Seasons In The Abyss”. Sei anni in cui sono successe molte cose in seno alla band Losangelina: la morte di Jeff Hannemann, chitarrista e, insieme a Kerry king, principale compositore, è stata un duro colpo, tanto che per un certo periodo, gli Slayer si sono trovati a dover decidere se fosse il caso o meno di continuare. Al di là dei sentimentalismi, tipo il fatto che Jeff avrebbe voluto che continuassero, abbiamo a che fare con professionisti, quindi il loro lavoro è suonare, cosa che fanno da più di trent’anni. Non avrebbe avuto senso, a mio avviso appendere gli strumenti al chiodo. Un’altra grana da affrontare, è stato l’abbandono del micidiale batterista Dave Lombardo, sembra per motivi meramente contrattuali. Come se non bastasse, per la prima volta dopo un trentennio, gli Slayer si sono avvalsi di un produttore diverso da Rick Rubin, in un certo senso il quinto elemento del gruppo, avendone caratterizzato per tutto questo tempo il sound. Dopo aver chiuso la collaborazione con la storica etichetta American Recordings ed essere passati al colosso Nuclear Blast, l’ensemble Statunitense si è avvalsa del lavoro dietro la consolle di Terry Date, famoso per aver prodotto in passato Soundgarden, Pantera ed Overkill. “Repentless” è l’undicesimo album degli Slayer, e vede l’entrata in formazione di Gary Holt, storico chitarrista e leader degli Exodus; una garanzia, trattandosi di un musicista che praticamente il thrash metal l’ha inventato, ai tempi in cui i Metallica muovevano i primi passi, facendo anche da supporters agli Exodus Stessi. Alla batteria troviamo il ritorno dell’affidabile Paul Bostaph, già dietro le pelli degli Slayer tra il 1995 e il 2002. Quasi tutto l’album è scritto da Kerry King, autore di un lavoro solido, ben suonato e decisamente slayeriano, anche se si sente parzialmente la mancanza dell’influenza punk/hardcore che rendeva il sound degli assassini Losangelini così unico ed inimitabile. L’opener “Delusions Of Saviour” è una breve intro, un po’ alla “Darkness Of Christ”, adatta più a creare l’attesa e a far salire la tensione che scoppia con la title track, caratterizzata da un riffing feroce, un vero assalto sonoro; meglio di così non si poteva cominciare, per un brano che si candida ad essere la nuova “War Ensemble”. “Take Control” parte anch’essa sparata a folli velocità, alternate a mid tempos, mentre la voce di Tom Araya è più rauca ed aggressiva rispetto al brano precedente in cui urla in maniera furiosa. “Vices” è dominata da chitarre ribassate e ritmiche intricate e rallentate, puntando maggiormente sul groove, con una sezione solista minimale e rumorosa, marchio di fabbrica della band. “Cast The First Stone” è pesante, monolitica e cadenzata, richiamando le sonorità dell’album “God Hates Us All”. “When The Stillness Comes” è il classico pezzo darkeggiante, che prosegue la tradizione inaugurata con “Dead Skin Mask” e riproposta dalla band in più episodi, come “213”, “Here Comes The Pain” o “Gemini”, tutti accomunati da un incedere oscuro e lento, senza tuttavia raggiungere mai la freschezza innovativa del brano presente su “Seasons In The Abyss”. “Chasing Death” è un mid tempo corposo, non eccessivamente originale ma gradevole. La velocità aumenta con “Implode” , che già conosciamo, visto che è da un po’ che circola in rete, ed è stata proposta dalla band dal vivo come antipasto dell’album. “Piano Wire” è il testamento musicale di Jeff Hannemann, essendo esso l’ultimo brano scritto dal biondo chitarrista, ai tempi di “World Painted World. Un pezzo rimasto incompiuto e riarrangiato dal guppo. Dopo la partenza lenta, il riffing va in crescendo, senza mai raggiungere altissime velocità. “Atrocity Vendor” era già comparsa come bonus track su “World Painted Blood”. Un brano velocissimo, devastante in piena tradizione slayeriana. Ottima anche “You Against You”, dominata da chitarre impazzite e roboanti ed assoli lancinanti. La conclusiva “Pride In Prejudice” è l’unica canzone firmata da Araya; stilisticamente è diversa, caratterizzata da ritmiche molto rallentate vicine al doom, anche se l’accelerazione finale porta il marchio di fabbrica della band. Non potevamo aspettarci un ritorno alle sonorità di “Reign In Blood”. Questi sono gli slayer nel 2015. Una band in ottima forma, nonostante l’età. Nonostante la morte abbia portato loro via un membro fondamentale. Nonostante tutto. Bentornati, Slayer!

(Matteo Piotto) Voto: 8,5/10