copdexterward2(No Remorse Records) Da diversi anni si fa un gran parlare di revival, di rinascita del sound degli eighties, di operazioni di ‘filologia musicale’… ma quante sono poi le formazioni che riescono a compiere questo back to the roots senza risultare scontate, pedanti o assolutamente inoriginali? I Dexter Ward arrivano, con il loro secondo full-“length”, a rasentare la perfezione: e restano, come già dicevo elogiando il loro debut (QUI) l’unica band di us metal dell’epoca d’oro… fondata in Grecia nel 2009! Nove i brani che compongono questo ruggente “Rendezvous with Destiny”. La titletrack fa subito sognare: registrazione pulita ma dal fascino antico, toni da cavalcata ma che non escludono un refrain aperto e stellare, l’interpretazione ruggente ma matura di Mark J. Dexter, il testo che magnifica lo spirito dell’american dream rendono “Rendezvous with Destiny” un capolavoro. Il pachiderma “Stone Age Warrior”, guidato da un basso metallico ed evocativo, apre scenari epici che a tratti sono proprio manowariani; davvero d’altri tempi le capacità di Mark di descrivere, direi howardianamente, l’eroe del brano (‘A Shield carved in the Shell of a carnivorous Tortoise / A Lance he plunged in the Venom of a Spider Queen / He wears the Skin of a Tiger of the North / That he killed when he was sixteen’). Eccezionale l’inno “These Metal Wings”, con una fenomenale accoppiata bridge/ritornello che rilegge davvero alla perfezione la lezione dell’us metal più battagliero: per chi scrive, la vetta di questo disco riuscitissimo. “Metal for the Light”, inno, manco a dirlo, che celebra l’us metal, è un’altra canzone sostenuta, costruita su una progressione incalzante; fa sognare anche “Fighting for the Cross”, e non soltanto per la musica, ma anche per l’incredibile capacità di Mark di catapultare l’ascoltatore nel mezzo delle storie che racconta (nello specifico, l’assedio e la conquista di Antiochia nel 1098, nel corso della prima crociata). Belle le armonie di chitarra per “Knights of Jerusalem”, ideale seguito della canzone precedente, belle le sezioni strumentali, ancora una volta us fino al midollo, dell’inno autocelebrativo “We are Dexter Ward”. Con “Ballad of the green Berets”, composta nel 1966 da veri militari (all’epoca creò un vero e proprio caso mediatico), la band celebra il coraggio dei soldati americani in Vietnam (e insieme, ovviamente, gli ideali degli USA che furono), mentre la bonustrack conclusiva “Robocop” è un altro degli omaggi che Mark offre alla cultura degli anni ’80… e il refrain “Part Man, Part Machine, all Cop” lo testimonia oltre ogni ragionevole dubbio. Io non credo di dover aggiungere altro: metal vero, pulsante, nostalgico ma non artefatto, per una delle migliori uscite del 2016.

(René Urkus) Voto: 9/10