(Scarlet Records) A seguito dell’ottimo debut “What the Oak left”, gli Atlas Pain si confermano e anzi si superano: il concept “Tales of a Pathfinder” ci mostra una band pienamente consapevole delle proprie capacità, e capace di ritagliarsi uno spazio ben visibile in quello spicchio di metal che mette insieme folk, power, death, e quindi un tocco di musica etnica e di soundtrack music. Dopo la intro “The coldest War”, che ci introduce allo spettacolo con una atmosfera vagamente steampunk, “The moving Empire” ha una epicità melodica che finora avevo sentito solo nei Turisas (il coro è reminiscente di “End of an Empire”, da “Stand up and fight”); epica “Hagakure’s Way”, dedicata al mondo dei samurai, mentre “The great Run” incorpora qualche elemento world music e fa quindi pensare agli Equilibrium. “Kia Kaha” unisce metal e soundtrack music, con in più influenze orientali: altro brano avvolgente e di grande epicità. I nostri indovinano un altro refrain magniloquente con “Shahrazād”, e ci regalano poi la suite di undici minuti “Homeland”. Come da tradizione il brano si compone di più parti, da quelle veloci a quelle acustiche, ben amalgamate fra di loro e che sfociano in modo naturale nella outro di piano. I milanesi hanno messo su davvero un bel disco, che piacerà a tutti coloro i cui ascolti vanno dagli Alestorm agli Ensiferum!

(René Urkus) Voto: 8/10