(Season of Mist) Complesso il terzo immenso lavoro degli americani Barishi! Metal estremo e progressivo che si tinge di un ulteriore aura oscura, incupendo malignamente le sei maestose e corpose tracce che portano il profumo delle montagne del Vermont! Più death e meno psichedelici del precedente lavoro (recensione qui), con “Old Smoke” riescono a trasmettere un lussureggiante senso di malvagità, di decadenza, risultando taglienti, velenosi, citando artisticamente anche i migliori Carcass. Una delle principali differenze tra questo nuovo lavoro ed i due precedenti, è la dipartita del vocalist Sascha Simms, ruolo ora coperto con egregia efficacia da uno dei tre membri fondatori, ovvero il chitarrista Graham Brooks. La sua voce è dannatamente più putrefatta, più ostile, crudele… decisamente una rivelazione, una risorsa nascosta dentro la band (la quale iniziò come band strumentale un decennio fa) che finalmente si sprigiona, cambiando totalmente l’effetto trasmesso dal sound globale. Musicalmente sempre impeccabili, contorti, ultra tecnici, con il nuovo disco comunque riescono a semplificare la fruibilità, dando vita ad un tech-death pregiato, eccellente, ricercato ma godibile anche già dal primo ascolto. “The Silent Circle” ha una tendenza deliziosamente ossessiva, con un lento crescendo verso keys eteree le quali supportano una atmosfera remotamente cosmica. Inquietante “Blood Aurora”: riff perversi, voce peccaminosa, una potenza di fuoco lacerante che offre spazio ad assoli isterici, calate verso antri privi di luce ed aria, il tutto circondato da ritmiche con una insistenza tellurica. Più diretta, irrequieta e feroce ”The Longhunter”, chitarra acustica favolosa sull’intermezzo “Cursus Ablaze”, trionfo infernale con “Entombed in Gold Forever”, brano che unisce melodia a dissonanze, rabbia a suggestione, complessità a old-school. La conclusiva title track cambia le regole, cambia le carte in tavolo, abbandonandosi ad un prog oscuro, con clean vocals tetre, le quali poi esplodono ancora una volta con la subdola ferocia di quella voce da rettile selvaggio che Graham riesce a diffondere nell’etere. Album monumentale. Brani immensi (tranne due e l’intermezzo, tutti ben sopra i dieci minuti). Una tecnica raffinata ma espressa senza una ricerca di visibilità, senza una voglia di farsi notare: tecnica che intensifica le sensazioni, affila le lame, appuntisce i dardi. Un album che è architettura ricercata e di alto livello impiegata puramente per scopi diabolici.

(Luca Zakk) Voto: 9/10