(Antiq Records) Magistrale opera creata da Vittorio Sabelli, ora al sesto album in carriera, la quale sviluppa una storia che riguarda la civiltà dei Sanniti, antico popolo italico del centro e sud d’Italia. Già autore della saga dei sei elementi attraverso cinque album, il musicista molisano ora si concentra su una nuova storia combinando elementi folk, black metal, nonché di recitazione. Con in effige un’opera di Joanna Maeyens che raffigura la dea Cerere, l’album è equiparabile a un esempio di prog ma in senso lato. Nella musica si coglie l’istinto accanto al comporre artistico e personale, atteggiamenti che ricordano la scuola prog italiana di decenni fa nella quale proprio la narrazione di storie, rievocazioni di miti, rielaborazioni di fatti e di poesia hanno fatto scuola. Dawn Of A Dark Age fonda tutto su due sole composizioni per oltre quaranta minuti totali di durata, “La Tavola Osca” parla del ritrovamento di un reperto archeologico in un campo da parte di un contadino, avvenuto due secoli fa. La storia prende il suo corso addentrandosi in pregevoli risvolti musicali. Il percorso è disegnato dai canonici strumenti rock e metal, ma anche dal clarinetto, il flauto, dal cantato di Emanuele Prandoni (Ancient, Anamnesi, Progenie Terrestre Pura ecc.), del soprano austriaco Antonia Gust e di Sparda (Hanternoz, Créatures). Sabelli crea le atmosfere attorno a questo autentico e antico reperto archeologico appunto detto “La Tavola Osca”. Sulla tavola in lingua Osco-Sannita sono incise i nomi delle divinità dei Sanniti. Costoro erano evocate durante il Saahtúm Tefúrúm, rito propiziatorio annuale durante il quale si tenevano sacrifici in loro onore per garantire fertilità e raccolti generosi*. Tre sono le direzioni stilistiche principali dettate dal musicista e dai suoi colleghi: esecuzioni di carattere black metal, folk e la narrazione. L’alternanza tra il black metal e le partiture con fiati e quelle di stampo folk, di banda e acusticoìche, sono l’impianto portante della musica. Il narrato è fondamentale per la comprensione della storia e il suo sviluppo, al contempo diventa un ponte di raccordo tra le parti delle due composizioni. Ogni singolo pezzo è differente dagli altri, per melodie, atmosfere e soprattutto per l’arrangiamento. L’unità dell’opera riesce a contenerli e farli coesistere. “La Tavola Osca” è un’ampia e maestosa opera dove storia, mito e archeologia sono evocate con un’attenta maniera un po’ teatrale e prima di tutto musicale.

(Alberto Vitale) Voto: 8,5

(*) La Tavola Osca è realizzata in bronzo e incisa su entrambe le facciate tra II e III secolo a.C. in lingua Osco-Sannita, riporta i nomi delle divinità venerate dai Sanniti e richiamate durante il Saahtúm Tefúrúm, rito propiziatorio annuale durante il quale si tenevano sacrifici in loro onore, per garantire fertilità e raccolti generosi.
Il teatro di questo rituale era l’Hùrz, ovvero il Giardino Sacro, e al suo interno sorgevano gli altari dedicati alle divinità, che erano agresti, celesti e infere, e la più importante e influente era Kerres, propiziatrice della crescita e dea della vegetazione e delle messi. ‘Giardino’ o ‘Orto’ Sacro perché i primi luoghi di culto sanniti sorgevano in luoghi aperti, boschi e vallate, dove a predominare era la natura.
La Tavola Osca fu rinvenuta casualmente nel 1848 dal contadino Pietro Tisone in Alto Molise, durante i lavori in preparazione del terreno per la semina, nei pressi di Fonte del Romito, tra Agnone e Capracotta, lungo le pendici del Monte San Nicola. Da allora la sorte della Tavola si fa oscura e misteriosa, fino al 1867, quando un antiquario romano, il Castellani, l’acquistò e, a sua volta, vendette la Tavola Osca al British Museum di Londra nel 1873.