(earMUSIC) Avere oggi tra le mani questo live registrato a Roma, un paese nel quale i Deep Purple si sono sempre travati bene, è forse un atto di affetto verso una delle più grandi rock band della storia. Questo “Live in Rome 2013” – etichetta e band lo abbreviano così – cattura l’attuale atmosfera e il feeling espressi della band sul palco. È lo stesso clima che ho avuto modo di cogliere tre anni fa a un loro concerto. I Deep Purple post, cioè post John Lord, post Richie Blackmore e post tutto, sono la testimonianza di un rock che fu e la sagacia di saperlo creare. Oggi i britannici rispolverando si i ricordi, si il proprio essere, ma al contempo solleticano la voglia delle gente dei Deep Purple che furono. Lo fanno riproponendo il canonico concerto-tipo di sempre, cioè i duetti chitarra e voce, pochi, l’assolo di batteria, di chitarra, del basso, d’organo e poi le fasi stile jam. Un canovaccio che la band propone da decenni. Proprio lo stile jam dal vivo, è ben fotografato nel trittico finale del live, quando “Hush”, il seguente assolo di basso di Roger Glover e “Black Night”, sembrano collegate appunto da un’immensa improvvisazione, nella quale Steve Morse e gli altri citano per un attimo anche i Led Zeppelin. Questi sono oggi i Deep Purple, band che tra le vestigia di un passato irripetibile e l’aspirazione a fare album e canzoni, pensate e alle quali credere, sforna ancora pubblicazioni che hanno un loro senso. Il lor passato è scritto nella storia e i Deep Purple con “Live in Rome” richiamano quel passato, oltre al presente con pezzi tratti dagli ultimi lavori, portandolo in giro con concerti. Allo stesso tempo tutto ciò è l’espressione, un valore indicativo di quanto sono ancora musicisti. Don Ayrey ha un tocco e un senso dell’arrangiamento al di sopra della media dei tastieristi moderni: è un maestro, ma in una maniera completamente diversa da quanto lo sia stato il compianto e leggendario John Lord. Ascoltare, magari in cuffia, il binomio ritmico Ian Paice-Roger Glover, si sente quanto sia ancora un’architettura sonora di una certa fattura. Mentre Steve Morse, erede di Richie Blackmore nominato dalla band, è un chitarrista di forza, che ha grinta nei solo, nei riff e con una sua grazia ordinata. Il suo toccare certe note è parte integrante dei Deep Purple degli ultimi venti anni. Gillan? Il vecchietto pur con qualche fuori tempo si difende bene – e lo scorso anno lo abbiamo capito grazie a un suo lavoro con la vecchia band degli inizi, QUI – ma del resto se non vi riesce lui che ha creato il modo di cantare il rock, insieme a Robert Plant e alcuni altri, chi mai potrebbe ancora oggi? Proprio lui canta in “Smoke On The Water” che «non importa cosa ne ricaveremo, so che non dimenticheremo mai».

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10