(Argonauta Records) Una immensa oscura malinconia dilaga con una luminosità stellare, avvolgente, travolgente. Una decadenza infinita che elargisce una intensa umana energia senza paragoni. Gli americani Destroyer of Light giungono al terzo album in meno di un decennio (si sono formati in Texas nel 2012) e danno vita ad un doom che esalta le migliori sonorità di Candlemass, Lord Vicar o Reverend Bizarre, senza tuttavia dimenticare Mercyful Fate ed Electric Wizard. Con un concept ispirato alla morte eterna, ovvero racconto di stampo dantesco nel quale si narra di un uomo che dopo la morte intraprende un viaggio attraverso gli inferi, diventando testimone di scene orribili, fino a quando egli stesso non diventa protagonista per l’eternità di quell’orrore assoluto, la band di Austin materializza una melodia appesantita da riff perfettamente concepiti per creare una rituale suggestione e supportare la bellissima voce del frontman Steve Colca. Il tragicamente invitante intro “Overture Putrefactio” conduce verso l’ossessiva “Dissolution”, un brano che offre spunti melodici teatrali ed angoscianti, con una sezione conclusiva che strizza l’occhio al post rock con sublime intelligenza. Più graffiante e nervosa “Aferlife”, la morte diventa consapevolezza, una consapevolezza che poi passa attraverso le porte dell’ignoto (con l’ambient di “The Unknow”) dando inizio al viaggio del bluesy doom etereo di “Falling Star”. Introspettiva e lasciva “Burning Darkness”, drammatica “Pralaya’s Hymn”, tetra ma appartenente ad una dimensione onirica “Loving the Void”. L’album chiude quella che si può definire la title track, “Eternal Death” (introdotta da “Into the Abyss), regalando un doom pesante, lacerato, avvolto da nebbie dalle quali emerge una teoria melodica pregna di pessimismo. Un album immediato, che conquista dal primo ascolto ma che ama anche farsi ascoltare ripetutamente, crescendo di volta in volta, intensificando quella tonalità di nero opaco che riesce a diffondere con malvagia persistenza.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10