(InsideOut Music) Comincia ad allungarsi a dismisura la discografia di Devin Townsend, che da un po’ di anni ha tolto ogni altro termine od orpello al proprio progetto musicale e ha deciso di presentarsi finalmente come un solista completo. Di fatto, proprio le ultime produzioni, tra cui soprattutto “Empath”si sono rivelate davvero delle opere molto personali, anche se di difficile lettura magari per chi non conosce a pieno la mirabolante carriera di Mr. Townsend. Ora, in pieno tempo di pandemia, si potrebbe disquisire ore sul come un artista con la fame del canadese possa sopravvivere senza attività live… beh, una delle possibili risposte è questo album, probabilmente il primo di una serie di uscite mirate a far conoscere il lato più intimista e nascosto di Townsend. In effetti, si potrebbe obiettare che non è passato nemmeno un anno dall’uscita di un live, per giunta simile a questo nella sua impostazione ‘morbida’, fatta di chitarre classiche e con la parte ritmica ridotta ai minimi termini (o come in questo caso, assente del tutto). Sinceramente, la mia prima impressione alla notizia dell’uscita del disco era quella di un tappabuchi, una forzatura discografica fatta per spillare soldi dando in cambio poca qualità. Mai stato così felice di sbagliarmi… il prodotto offerto dal musicista si attesta su livelli decisamente alti, con canzoni completamente stravolte e dotate di nuova anima. “Funeral” e “Deadhead” diventano magicamente delle ballate in chiave ancora più sofferta delle versioni originali. Canzoni poi come “Love?”, quasi impossibili da riproporre in chiave acustica, diventano davvero divertenti da ascoltare. Non ci sono grossi classici in questo live, se si può usare questo termine per Townsend… Un album davvero particolare, registrato davvero in modo impeccabile, che sa mantenere quella sensazione di dialogo tipica dei live, dove in Nostro usa spesso e volentieri degli intermezzi semicomici tra un brano ed il successivo. Questo permette di mantenere sempre intatta la sensazione di trovarsi di fronte ad un’opera integrale e poco rimaneggiata (anche se conoscendo le manie di perfezione del canadese, limitiamoci a definire questa caratteristica un effetto voluto più che un dato di fato…), che saprà stupire ancora una colta gli ascoltatori, come ormai da consuetudine quando si parla del canadese.

(Enrico Medoacus) Voto: 8/10