(Autoproduzione) Legati all’underground italiano, i Disease celebrano i ventisei anni di attività con questo quinto album, progredendo ulteriormente nella loro tecnica, nella ricercatezza del suono, ma anche nei contenuti, nelle emozioni, nelle sensazioni. Credono fermamente che la musica sia espressione di sentimenti, di stati d’animo, una forma d’arte che evolve e descrive la vita in modo più o meno metaforico. Ed ecco che “Into the Red” prende una direzione simbolica, guarda all’alba, al rosso del sole che illumina il mondo, regalando speranza, elargendo forza, cercando di enfatizzare la forza interiore dell’individuo, la quale è costantemente attaccata dalle tendenze del mondo moderno, nel quale regna l’odio, la diffidenza, la negazione del futuro, tutti fattori che stanno distruggendo i veri valori quali l’amore, l’amicizia, la sincerità, il tutto per fare spazio ad ira, solitudine, pregiudizio ed ignoranza diffusa. Questo mondo aspro e asettico sta drammaticamente diventando la normalità, pertanto è essenziale avere l’energia per restare legati a certi principi, qui deliziosamente espressi con un senso sacro, simboleggiato da un lago da attraversare, verso quel rosso, verso un nuovo orizzonte, una nuova realtà, un nuovo percorso. Forse anche una nuova esistenza. Musicalmente i Disease, oltre che rivelare fantasia e padroneggiare una tecnica illimitata, si sentono liberi da legami verso stili o generi specifici ed abbracciano un eclettismo esplosivo, riuscendo a far convergere verso un unico punto la musica estrema, la musica melodica, il prog, il groove, abbraciando la rabbia del thrash, l’oscurità del death, ma sapendo anche cavalcare generi o divagazioni più soft, più ricercate, più intime ed introspettive. La opener “Mirror’s Edge” si colloca tra purezza melodica ed istigazione alla furia, facendo spazio ad un ritornello intenso, accattivante ed a deviazioni speed metal intense. “Nemores Dianae” è un prog-groove complesso, incalzante, ricco di break down, di varianti vocali che passano da un clean in stile rock al growl tipico del black, un brano che riesce ad evadere verso un metal più classico punteggiato da una linea di basso favolosa, con le chitvarre che guadagnano spazio conquistando con impeto. C’è black metal, death metal ed una forsennata progressione tecnica su “Lucid Hallucination”, un brano che a volte stupisce paralizzando con la complessità, mentre altre lascia istiga alla ribellione con ritmiche tuonanti alle quali è impossibile resistere. La lunghissima title track è un viaggio dentro il viaggio: sensualità melodica, riff grintosi, cantato suggestivo, repentini cambi da e verso una miriade infinita di sentieri spesso contrastanti ma magicamente ed intelligentemente combinati tra loro. Poderosa “Invisible Martyr”, una canzone che nella prima parte, nonostante i dettagli ed i risvolti tecnici è un’autentica spaccaossa, un potenziale spaccaossa dal vivo… un pezzo che poi cresce in maniera vertiginosa aprendo ad un chitarra intima, quasi bluesy… saltando poi con nervosismo tra metal classico e metal estremo. Altro brano corposo è “I, The Visionary”: i riff laceranti capaci di sorprendere costantemente ospitano una linea vocale molto melodica, con un tema dominante ricorrente molto efficace; il brano incede con break down, parentesi riflessive, sfuriate demoniache, assoli psichedelici, altro blues, verso un finale nel quale il testo passa dall’inglese all’italiano, regalando un tocco poetico molto potente all’ottima canzone. Il metal estremo scompare con la conclusiva (*bonus track esclusa) “The Lake In The Winter”, pezzo nel quale trionfa la bellissima voce dell’ospite Valeria Dori, circondata da chitarre intense capaci di dar forma ad un brano di rock maturo, completo e ricco di feeling. Un album che vanta un voce poderosa e variegata, un basso tanto granitico quanto provocante ed una batteria magistrale e superlativa… il tutto con delle chitarre che dipingono trame contorte, intrecciate e pericolosamente ipnotiche. Un album di uno certo spessore, questo “Into the Red”: ricco di metal estremo ma anche di poesia, quest’ultima celata nei sia testi che nelle tortuose variazioni musicali che i quattro riescono a percorrere con destabilizzante disinibizione ed incredibile abilità.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10

(*) La bonus track si intitola “My Long Journey”, una rivisitazione dello stesso brano comparso sull’album di debutto, “5th Wave, Endless” del 2005.