(Autoproduzione) Creature notturne che scivolano come sangue lungo una lama, scivolano da una ferita degli anni 90, fino ad oggi. Gli Eschaton hanno alle spalle un demo nel 2002. Un album di mezz’ora nel 2004. Un ep due anni fa. La solita band che fende la prima pugnalata, ma non finisce mai l’omicidio. Oppure no? Acolto questo album, cinque tracce. Vengo attratto dal titolo dell’opener “Transcending Satanism”. Vengo assalito dalla violenza, gli Eschaton vogliono spingersi davvero oltre il satanismo, oltre il black. Convinto di aver per le mani solamente un altro disco black, mi accorgo che la malvagità di questi quattro austriaci è morbosa, aggressiva, inquietante. Penso immediatamente ad opere di Dimmu Borgir, o meglio, Old Man’s Child. Ma gli Eschaton vanno oltre, sono il giorno dopo l’armageddon, superano il limite: sezioni pesanti e cadenzate, puro mosh. Atmosfere oscure. Riff death, dominio tecnico. Cambi di tempo. Canzone con strutture complessa. Coinvolgimento pieno. Segue “Current Void”, con il suo inizio inquietante. Oltre otto minuti di ferite all’addome, di morte, di delirio. Riff malati e ipnotici. Voce femminile, growling gridato al nulla dei cieli, alla falsità della terra. Title track: potente, black tecnico, death tecnico. Altri 8 minuti di massacro. Sono prigioniero. Non riesco a smettere. Arriva l’orgasmo di questo atto sessuale mentale, di questa perversione oscura: “The Black Tunnel”. Monumentale traccia che è un album, che è un viaggio, che è una migrazione verso altre dimensioni. Quindici-minuti-ventisei-secondi di creatività dannata, di tortura mentale, di orrore: atmosferica prima, marziale poi. Si trasforma in uno stato catatonico a forma di spirale discendente verso l’inferno. A metà la salvezza. Apparente. L’armonia diventa blast beat, diventa black, torna a distruggere, contorcere, fracassare. La fine di una vita di sofferenze? No. La melodia trasporta verso un risveglio da un incubo…. Stordito mi faccio rapire dal suono falsamente tranquillizzante, atmosfere quasi ambient, quasi fusion, quasi jazz…. Fino alla finale stretta del cappio intorno al collo. La violenza torna. Più accanita di prima…. Toglie la vita… e come un beffa torna a deridere con incroci melodici, deviazioni  fantasiose. Un viaggio senza ritorno. Completamente sconnesso dalla realtà che mi circondava prima dell’inizio di questa esperienza, mi tuffo nell’ultima traccia, gli ultimi otto minuti. Torna il black, più feroce di prima. Torna il growling perfetto del singer, supportato da ottimi musicisti ed gran produzione. Le ultime pugnalate. La fine dell’infierire su un corpo ormai irreveribilmente martoriato. Esperienze così assurde le ricordo solo con l’ascolto di opere di maestri quali i Windir. Un esperimento geniale.

(Luca Zakk) Voto: 7,5/10