(Seven Kingdom Records) I Forefather non hanno mai sfondato, questo è noto: ma Wulfstan e Athelstan, i due fratelli inglesi che compongono la band, possono guardare con orgoglio, e forse un po’ anche dall’alto in basso, tantissime formazioni pagan o viking che hanno avuto più successo di loro. “Last of the Line” è il sesto album e prosegue la tendenza relativamente ‘morbida’ degli ultimi dischi, così lontani dal pagan black degli esordi. La traccia che da il titolo al disco ci mostra la band in piena forma, decisa, cattiva e battagliera come non mai: e qualche passaggio simil-black, retaggio – come si è detto – del sound delle origini, non può che giovare alla composizione. Incalzante “Chorus of Steel” – e sicuramente il pensiero delle ultime generazioni andrà al battle metal di Ensiferum e Turisas. E che dire poi di “By the Deeds”? Ritmo avvincente e facile da ricordare. Peccato che il seguito del disco non manterrà questo altissimo standard iniziale, pur attestandosi su livelli più che buoni. Dopo una breve intro celtica, “Doomsday dawns” dispiega la sua potente epica ritmata e si candida probabilmente ad essere il miglior pezzo di tutto l’album. Cori gregoriani e rumori di battaglia introducono “Spears of Faith”, sicuramente il pezzo più black-oriented del disco, mentre ci sono inattese aperture melodiche in “The Downfallen”. Pagan metal che ci rimanda alle nobili origini del genere e alla sua dimensione più underground.

(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10