(Season of Mist) Gaahl si preoccupa di ribadire il concetto del mini album, considerando la durata limitata dell’edizione (trenta minuti), evitando l’idea dell’EP il quale solitamente rappresenta una edizione che esce tra un album e l’altro, con materiale futuro, qualche inedito e magari delle bonus, live o registrate nuovamente. No, Gaahl non fa queste cose. Gaahl non pensa all’edizione discografica, lui pensa all’arte, un’arte che viene dalla sua spiritualità, un’arte che deve essere lasciata libera di uscire e prendere forma. Gaahl riflette, pensa, con calma, con una pace interiore destabilizzante. Gaahl ascolta il suono. Il mormorio, quella vibrazione che echeggia tanto silenziosa quanto fragorosa dalle montagne, da quelle rocce che sono la testimonianza della creazione, della preistoria, della storia, dell’evoluzione, di quella lenta ed inesorabile progressione della natura, del mondo e, di conseguenza, dell’umanità stessa. Ed ecco che tutto torna alle origini, ai miti nordici che vedono l’inizio di tutto legato al suono, assieme tutti gli altri elementi, opposti o meno, come il fuoco… o la sua nemesi, il ghiaccio. Ed è proprio il ghiaccio che è oggetto del pensiero dell’artista: quella entità tanto mortale quanto portatrice di via, tanto silenziosa quando capace di suoni immensamente laceranti. L’album apre con mormorii, quella voce baritonale, quel dialogo introspettivo ed intimo della lunga ed atmosferica “The Seed”, un pezzo lento, paziente, ricco di arpeggi malinconici ed una teatralità superlativa. Lo slow tempo della title track evolve il suono dell’album di debutto (“GastiR – Ghosts Invited”, recensione qui), mentre “The Dwell” appesantisce l’atmosfera, rivela la potenza della natura evidenziandone quel mistero attraente e provocante. “Awakening Remains – Before Leaving” diventa trionfante: chitarre glaciali e taglienti costruite sopra un’apocalisse carnale, sostenuta da linee di basso organiche, convergendo verso una disperata, rocambolesca e furibonda evoluzione, verso significati gloriosi, la manifestazione di quelle forze incontrollabili e spesso incomprensibili… prima della conclusiva “The Sleep”, altro brano lento ed atmosferico, l’accettazione della natura, della sua forza, della sua -forse- dimensione spirituale e divina. Con la produzione (e le tastiere) del mitico Iver Sandøy (Enslaved), “The Humming Mountain” è un album cinico, micidiale, penetrante anticipato dalla poderosa copertina disegnata da Gaahl stesso. Mormorii. Crepitii. Vibrazioni. La montagna che si forma con ancestrale violenza, che si assesta, che prende vita, che respira, che si muove assieme a quelle infinite distese di ghiaccio le quali hanno dominato i milioni di anni di storia di questo pianeta. Terra. Pietra. Fuoco. Ghiaccio. Vento. Acqua. Calore. Gelo. Elementi essenziali che generano suoni unici e suggestivi. Ed ecco che diventa intuitivo capire le radici di tutto, capire che la creazione e l’evoluzione del mondo e dell’universo che lo contiene sono sempre state scandite dal suono, o dalla sua assenza… ovvero solo un’altra definizione del suono stesso. E in questo lento e maestoso processo, la mente profonda ed oscura di Gaahl osserva, assorbe, scruta… con infinita e terrificante pazienza.

(Luca Zakk) Voto: 9/10