(Antiq) Un dark rock atmosferico, estremamente atmosferico, quasi folk, per i debuttanti austriaci Gjoad, i quali si lasciano trasportare dalla magia degli scenari alpini che li circondano per dar vita a questi cinque emozionanti brani. La radice essenziale dei Gjoad è il black metal, il quale però qui è presente solo in forma spirituale, in un livello di oscurità, in quanto musicalmente anche grazie all’uso di molti strumenti etnici la band si lascia andare su un ambient suggestivo, spesso legato ad un senso di tradizione, di cultura popolare. Di radici. La lunga opener “Rouh – Samanōn” è un monumento di suoni spirituali che svelano paesaggi, scenari, prati, vette… prima di quelle chitarre classiche e quel drumming tribale, verso un trionfo e successivamente verso la pace. Entrano in gioco dettagli meno folk e più rock su “Peraht”, c’è molta chitarra classica, c’è molta intimità, ed ancora una volta una visione trionfale ed epica. Suggestione e romanticismo tetro su “Gartsang”, soft rock molto oscuro che fa da tappeto alla recitazione in tedesco altrettanto priva di luci del guest Stefan Traunmüller (Rauhnacht, Golden Dawn, The Negative Bias). Rock elettrico e molto profondo su “Hagazussa”, un rock che poi si lascia andare a teorie folk verso un finale ricco di dettagli etnici. Quasi liturgica, in senso tribale, la conclusiva “Untar”, un lungo outro apocalittico ed incantevole, un presagio, una visione, una consapevolezza. Album nel quale abbandonarsi, nel quale farsi assorbire. Un album che prende l’autunno e lo traghetta con dolcezza verso un silenzioso, mistico e freddo inverno, con tutte le sue luci, tutta la sua magia, tutta la sua oscurità e tutte le sue maledizioni.

(Luca Zakk) Voto: 8/10