(Constellation) Mi accorsi di loro attraverso un documentario mandato in onda a tarda notte su Fuori Orario. Il documentario era intitolato “American Nightmare” ed era stato realizzato con contributi filmati e colloquiali di Carpenter, Craven, Cronenberg e altri. Ricordo la scena di Faccia di Cuoio (personaggio cardine di “Non Aprite Quella Porta”) che rincorre Sally, la ragazza che sopravvive allo sterminio grazie ad un fuoristrada scoperto che passa di là e la recupera, mentre lei è ricoperta di sangue. Faccia di Cuoio arrabbiato e isterico si dimena e lancia in aria il motosega, sua arma di offesa preferita. Quel lancio aveva la colonna sonora dei canadesi Goodspeed You! Black Emperor. Iniziò la caccia ai loro lavori e la diffusione tra amici delle loro opere. Visti come geniali esecutori di musica affascinate e rock inclassificabile (psichedelia, incubi, bellezza, passione, folk ecc.), hanno conquistato chiunque e poi, per dieci anni, niente album, ma sempre in giro sul pianeta a suonare dal vivo.  “Allelujah! Don’t Bend! Ascend!” (altro titolo strano, come da tradizione) era atteso e con la consapevolezza che sarebbe stato anch’esso un nuovo e “solito” album dei Godspeeds. Quattro pezzi, dei quali “Mladic” e “We Drift Like Worried Fire” arrivano quasi a 20′. “Strung Like Lights At Thee Printemps Erable” sono oltre 8′ di chitarre in saturazione che si sommano tra di loro, vanno in crescendo e formano pian piano l’originale suono cosmico che ha preceduto il Big Bang! “Their Helicopters’ Sing”, quasi 6′ e mezzo, è un’altra sommatoria di suoni, ma stavolta tra synth e strumenti ad arco i quali sembrano un impasto tantrico, anche questo cresce pian piano e mi ha ricordato alcune pause oniriche dei Popol Vuh. I due pezzi base dell’album, le già citate lunghe suite, riprendono la “solita” essenza della band, fatta di melodie che sbocciano graziose e che nel correre verso la propria maturità diventano angosciose, alsinonanti o amabili, dipende dall’estro del momento. In queste l’essenza del rock in amplesso con la psichedelia, lo space, l’elettronica dell’effettistica retrò, il folk o nenie popolari ed etniche (la parte centrale di “Mladic” è un surrogato della musica araba ed etnica, mentre lo è genuinamente la sua coda finale) camuffate dal caos che solo loro sanno gestire e modellare a proprio piacimento. Si, non c’era da aspettarsi altro dai GY!BE se non loro stessi. Sacerdoti di rituali magici e padroni dei propri mezzi, gli stessi usati nel mondo del rock ma che acquistano attraverso il loro controllo una dimensione completamente diversa, unica.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10