(ROAR! Rock Of Angels Records) Intitolare il proprio album ‘Il Simbolo dell’Eternità’ è proprio una scelta alla Grave Digger, tale da rendere subito l’idea che la loro nuova opera possa essere un monumento. “Symbol of Eternity” presenta forza sul piano del riffing che suona comunque pulito, regolare, anche un pochino ordinario nella sua identità, eppure è la spina dorsale di canzoni nelle quali i ritornelli sono perfetti e degni del nome di questo album. Alcune di queste sono dei veri e propri inni, come quello di “Sky of Swords” ad esempio. I Grave Digger sono una band che suona da 40 anni ed è autrice di almeno due decine di album, nei quali la band tedesca ha già detto molto, dunque scritto e suonato nonché cantato. A questo punto c’è da chiedersi come sia lo stato di salute dei Grave Digger. È una band che onora sé stessa e il proprio credo, restando ancorata ai propri principi che in “Symbol of Eternity” per tredici canzoni prende per mano l’ascoltatore e lo spinge in questo universo fatto di heavy metal – la conclusiva “Hellas Hellas” cantata in tedesco, con un incipit alla Deep Purple, è puro heavy metal e non l’unica – e di power metal dove il cantato è possente, solenne e poetico a suo modo. Un universo nel quale la robustezza del drumming sigilla la maestosità di certe composizioni come l’epica, solenne e splendida “The Last Crusade” oppure la title track ed anche a suo modo esotica “Grace of God”. L’album è una concreta espressione della band o quanto meno dei suoi ultimi dieci o quindici anni. Le icone tedesche del power metal tengono viva la propria identità spingendo il loro comporre verso forme di canzoni che rievocano anche qualcosa di già sentito nei loro tanti pezzi fino ad oggi incisi, riuscendo però ad essere coinvolgenti, come nella battagliera “Battle Cry” oppure nei vari momenti muscolari come testimonia la possente “King of the Kings” oppure “Nights of Jerusalem”, un brano maestoso e comunque accattivante ma principalmente in low tempo.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10