cophatriot(Massacre Records) Mi prostro davanti a Sua Maestà Steve ‘Zetro’ Souza. Lui e la sua voce assurda, quella voce che sentivo gridare in tutti i mie incubi, in tutte quelle notti di sonno tormentato, sudato, dalla metà degli anni ’80 in poi. Non mi è mai importato nulla di cosa cantasse. Ho sempre pensato sia unico, strepitoso, ed assolutamente demente, pazzo, fuori di testa. Nessun essere normale può osare -e non parlo del giorno d’oggi dove nulla sorprende più nessuno- mettersi a cantare così. Specialmente quando il trend dell’epoca era voce melodica, voce cattiva oppure growl. Bisogna essere deviati per osare tanto. E bisogna essere maestosamente grandiosi per diventare un esempio inimitabile, adorato da fans sparsi in qualsiasi remoto fetido angolo del pianeta. Ammettiamolo, la sua voce potrebbe anche cantare merdosissime canzoni d’amore italiane, oppure robaccia da balera con tanto di coppiette ultra sessantenni che si dimenano mal celando allungamenti di mano da adolescenti troppo cresciuti: non importa, qualsiasi roba venga vomitata sul microfono da Mr.Zetro diventa marcia, mefitica e completamente  letale. Mostruosa la sua carriera con gli Exodus, ai quali ha offerto un marchio di fabbrica unico ed irripetibile. Ora ritorna. Di nuovo. Torna da capitano di una band formata da ragazzini, tra i quali i due figli Cody e Nick (rispettivamente Basso e Batteria), ai quali ordina di suonare come dei dannati, suprema università del thrash, divisione Bay Area. Volevate roba nuova? Vi mancava quel thrash spacca culi? Zio Steve non delude. Zio Steve non vi abbandona. Si ricorda di voi tutti fedeli devastatissimi fans, voi amanti di quel sound immortale, e vi spara un album devastante. Certo, l’ovvio paragone con gli Exodus di un tempo è inevitabile, ma sono del parere che le cose vanno avanti. Devono andare avanti. Steve non è più con gli Exodus, e gli Exodus sono andati (ben) avanti per la loro strada.  Se veramente vogliamo evitare quei soliti noiosi confronti con i tempi che furono, e ci mettiamo in testa di godere il presente, allora la risposta è semplice: questo disco frantumerà le vostre ossa, disintegrerà il vostro stereo, farà esplodere il vostro mp3 player. Tre quarti d’ora di up-tempo, con drumming brutale, ricco di doppia cassa, assoli degni di questo nome, ritmiche tortura vertebre… il tutto dominato da quella demoniaca voce, quelle corde vocali, quel cantante che deve aver venduto l’anima a qualche diavolo estremamente incazzato con tutto e tutti. Incazzato anche più del solito, visto che Steve si spinge oltre, arrivando ad estremi quasi da singer black metal, come sulla bellissima “Globacidal”. Un album che non ha pietà di nessuno: sentitevi pezzi come “Weapons of Class Destruction” con quel basso d’acciaio e quegli assoli che vi riportano ad emozioni che non vivete da vent’anni. Immaginatevi il pogo che si può scatenare con pezzi come “Murder American Style”. Godetevi la nefasta melodia della voce di Steve in pezzi come la title track. E lasciatevi andare alla violenza ritmica di “The Violent Times of My Dark Passenger”, o alla perversione di “Shadows of the Buried”. Steve Souza, un uomo che potrebbe anche cantarvi un patetico “buon compleanno”, mentre un vostro amico ubriaco la suona alla pianola rubata ad un bambino: la cosa uscirebbe comunque devastante, immonda, satanica e brutalmente bestiale. Se poi sotto ci sono quattro headbangers che sparano riffs thrash senza sosta, allora non c’è nulla di patetico. Nessuno “buon compleanno”. Nessuno augurio. Questa è la fine, questo è l’inferno. E, non so voi, io all’inferno mi diverto come un pazzo.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10