copkomah(Spinal Records /PIAS ) La prima cosa che devo chiarire di questa band belga, giunta al secondo album, è lo stile proposto: qualcosa tra il thrash metal, il metalcore e il groove metal. Sintetizzerei il tutto per comodità in modern metal, cioè i riff cadenzati e potenti e spesso laccati di un groove asciutto e il drumming anfetaminico, determinano un sound figlio di questi tempi e che attinge da un passato che si chiama Machine Head, Pantera, Meshuggah (ma i belgi sono meno cervellotici) e anche, in minima parte hardcore. Il tutto però è un pallido riflesso e le canzoni sono comunque il tentativo dei KomaH di costruirsi una propria dimensione. Prende subito l’attenzione “The King of Raptors” (realizzata con Gary Meskil e Adam Phillips dei Pro-Pain) e “Destiny Written in Blood” per via di un clima thrash metal condizionato dall’hardcore, tipo i Cro-Mags. Nell’insieme però con un paio di ascolti l’album diventa subito familiare e ciò che ne impedisce una totale ed immediata fruibilità è il fatto di trovarsi di fronte dieci canzoni (tra queste una sorta di intro proprio a “Destiny Written in Blood”, la quale però non si spiega il motivo della sua esistenza) che vanno da un minutaggio di 3′ fino a 4′ e dintorni e quasi 5′ o addirittura 6′. Questo significa che la maggior parte dei pezzi ha una durata sostanziosa. “Between Vice and Virtue” è un album con momenti interessanti e indice di una band che sembra ormai in fase di maturazione, vorrei solo che in esso vi fosse anche qualcosa di più del solo impatto e forza, ma questo genere di band ormai soffre la “sindrome della melodia”! Vorrei dai KomaH qualche buona canzone in più.

(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10