(Nuclear Blast) Suona come una mazzata. Violento e feroce. Veloce, aggressivo, brutale. E poi… Mille alla voce. La voce. Non esiste growling che possa battere la naturale furia di questo singer. Trenta lunghi anni di rabbia riversata sui numerosi album. Bandiere dell’odio sventolate durante migliaia di concerti. Credevate fosse tutto finto? Credevate fosse tutta scena? Illusi.  Vi do il benvenuto all’ascolto del tredicesimo capitolo, numero nefasto, l’arrivo dell’anticristo. Mettetevi comodi. Tanto l’odio e la catastrofe non tarderanno a venire. Ed i Kreator sono tornati. Di nuovo. Dopo aver profondamente influenzato la scena del metal estremo, dopo aver osato sperimentazioni (a mio avviso fantastiche, come il mitico “Renewal”), dopo essere entrati di diritto tra i grandi del thrash, sono qui a violare la vostra quiete con questo “Phantom Antichrist”. Un album furioso, ma anche introverso, quasi riflessivo. Un’opera che rappresenta metaforicamente ciò che, di fatto, offre esplicitamente dal punto di vista musicale:  una furia cieca, totale, una forza devastante, il cui scopo è l’annullamento totale, annientamento, estirpazione. Una estinzione totale che, comunque, è alla base di un nuovo inizio. Una distruzione creativa. Un concetto profondo, riflessivo appunto, che aleggia durante tutto il bellissimo album. Dopo l’intro scatta in apertura il massacro con la title track. Un primo brano è brutale, un inizio senza compromessi. Si nota immediatamente la produzione (Jens Bogren, già con Amon Amarth, tra gli altri) sublime che regala la potenza sonora necessaria per far percepire in maniera nitida queste terribili vibrazioni. Il massacro senza sosta continua con “Death To The World”: veloce, pesante e con lyrics in perfetto stile Kreator, mondo che muore, terra che soffre, le nostre colpe, le nostre condanne, la fine del mondo. La seguente “From Flood Into Fire” è una canzone fantastica. Leggermente più tecnica e meno feroce delle altre, offre spazio a tutti i musicisti, e lo stesso Mille riesce a cantare in maniera diversa, su ritmiche cadenzate, ritornelli mid tempo, cori, assoli. Questo solo pezzo vale l’intero album.  Dal vivo sarà immenso.  La seguente “Civilization Collapse” mescola parti meno veloci, più profonde, con autentiche scariche di adrenalina. Un pezzo che esalta il valore della produzione, con una linea di basso molto bella e ben definita. “United in Hate” è il classico inno dei Kreator. Il titolo parla da solo. Strutturata in maniera molto intelligente, offre brutalità e cantabilità nel ritornello. Un’altra perla da concerto! “The Few, the Proud, the Broken”, un pezzo molto bello e tecnico, anticipa l’altro masterpiece dell’album: “Your Heaven My Hell”. Un pezzo totale, grandioso, con un testo anti religioso, anti divino, una dose di assoli bellissimi ed un cantato unico, dove Mille riesce ad esprimersi con una passione unica. “Victory Will Come” e “Until Our Paths Coross Again” chiudono il disco con un senso di malinconia. Dopo trent’anni di fedeltà totale nei confronti dei Kreator, lo ammetto, ogni volta che finisce un loro disco, la carica si trasforma in malinconia. Ogni volta che termina l’ultima canzone, ogni volta che torna il silenzio, è un po’ come perdere l’energia vitale, è un po’ come morire. Per poi risorgere, tornare, riemergere, con tutta l’aggressività che i tedeschi hanno garantito in questi tre fantastici decenni.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10