(Devizes Records) Duo britannico dalle ascendenze stoner, ma che tende ad essere anche altro, fino a mascherare la propria essenza e tanto da costringere l’ascoltatore a sentir più volte questo album per capirne tutti i variopinti elementi. Questo è l’omonimo dei Kroh, ovvero Paul Kenney, polistrumentista e membro dei Fukpig , dei Mistress, e sessionman live per gli Anaal Nathrakh, e il cantante Francis Anthony (Shebrew, Tumor, The Sickening). Stoner con aspetti hard rock, rock-blues e quasi grunge (alla Alice In Chains). Il sound è abbastanza aspro, in più casi oscuro e alla B-Sabbath periodo 1975 in poi, come in “Inside”, oppure è psichedelico come in “How I Wish That I Coud Know”, una sorta di  mantra ambient semi-orchestrale, perfetta come colonna sonora per un fil horror con Klaus Kinski, e nella seguente “Fruits and Wine” che già il titolo rivela esperimenti lisergici. Non badano sempre al passato, lo stoner che li contraddistingue per buona parte della propria opera è al massimo in “Heaving Earth” e “These Butterflies”. La volontà dei Kroh di andare oltre e sperimentare tuttavia mette ogni composizione nella condizione di essere un paesaggio irto di insidie e situazioni improvvise, come un mondo incantato e rude insieme. I suoni corrosivi e frutto di una relazione tra essenze del passato e tecnologie di effetti moderni. L’ascolto mette da subito di fronte a qualcosa di inaspettato e dal significato inquietante, soprattutto i testi. “Luciphoria”: “e ora la mia casa è sotto un mantello/tutto il terreno sopra sembra così fragile/il mio cuore batte e diventa la mia veste nera/questo accordo con Lucifero sta prendendo il controllo”. “Stone into Flesh”: “il mio sangue scorre a singhiozzi/come una fontana traboccante/ma non c’è ferita/e sospira come va”. “The Plant We Seeded”: “tutto nel nome di Lucifero/la pianta che seminammo, Lucifero/c’è quando ne abbiamo bisogno”. Terribili, ma autori di una totale simbiosi tra musica e parole. Una magia!

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10