copmalignanta(Blood Harvest) Infezione e depravazione provenienti dal Cile. Questa potrebbe essere la descrizione dei Malignant Asceticism. Una storia recente: formati nel 2011. In archivio due demo e questo EP, rigorosamente 7”. Black metal? Death metal? La morte e l’oscurità ci sono entrambe, certo, e vengono pure elargite con generosità infernale; ma ci sono altre cose: c’è sesso, c’è depravazione, c’è assoluta dannazione. C’è deviazione linguistica grazie ad un perverso gioco lirico che vede spagnolo ed inglese intrecciarsi, fronteggiarsi. Testi deviati che bestemmiano di eiaculazioni spirituali, false resurrezioni, fecondazione dell’eternità. Il vero problema? Due sole canzoni. Solo una decina di minuti dedicati ad un’autentica putrefazione e vendita di brandelli dell’anima. Anima di musicisti senza nome, in quanto citati con le semplici -simbolicamente anonime- iniziali. Questi sono i Malignant Ascetiscim, con un vocalist dalla voce defunta, con chitarristi che amano devastare, con un batterista prostrato al dio della violenza, con un bassista che riesce a creare atmosfera, sensazione, oscurità sia quando supporta le furibonde sfuriate black, sia quando prende il suo spazio e canalizza una canzone verso inferi ancor più profondi. I due pezzi sono esemplari inni alla maledizione, due condanne a morte, due esecuzioni capitali. “Seventh Breath” riesce sempre a costruire un ambiente tetro ed inquietante, grazie ad arpeggi subdoli, cori che sembrano pregare (e lo fanno!) demoni orrendi ed un cantato violento ma eseguito in maniera perfetta, grazie ad un growl vagamente deviante verso il territorio dello scream, e grazie anche ad una notevole capacità di gestione del sustain dell’urlo, mai esagerato, mai limitato, mai scontato o privo della perfetta energia. La parte di introduzione di basso che c’è tra la prima parte atmosferica e il centrale assalto frontale è ben registrata, ben concepita ed è l’esatto contrario di quei fill messi a casaccio da musicisti scadenti con nessuna esperienza in song writing. La parte finale della canzone, che torna sulle tonalità coinvolgenti, ha una progressione che cattura e tortura la psiche, dimostrando come questa band sia sempre perfettamente in grado di gestire sempre l’atmosfera giusta, assurda colonna sonora di un film inneggiante alla decadenza ed al sangue. “The Black Dance” predilige la violenza sonora, i blast beats, la distruzione. Ma il suo sviluppo regala ampio spazio a tutti i musicisti i quali non negano al dannatissimo ascoltatore arpeggi perversi, chitarre tirate su atmosfere riflessive e malefiche, dove c’è spazio per idee strutturali, accordi superbamente dissonanti, accelerazioni brutali, parti ritmiche devastanti.  Artisti che sanno veramente suonare e scrivere canzoni, questi Cileni. Gente che non ha bisogno ne di nome, ne di fama, ne di origini nordiche per aver perfettamente in testa come annientare, coinvolgere, maledire e torturare.  Ed il fatto che questa grande capacità insulti il pubblico con la produzione di due soli canzoni così ottime, mi fa pensare che la genialità di questi individui sia oscuramente superiore: il peccato più mortale va commesso un po’ alla volta, per tingere di un nero più profondo l’anima. Un lento atto sessuale verso un orgasmo dissacrante e blasfemo, un assaggio di dannazione prima dell’abbandono ad una maledizione senza fine.

(Luca Zakk) Voto: 8/10