copMANES(Debemur Morti Productions) Oscurità nordiche. In un freddo intenso e penetrante, nel bel mezzo del nulla e di una oscurità opprimente, cala un velo, un’atmosfera, una forza, uno spirito… una entità palpabile, reale, cala su esseri umani persi, dispersi, desolati; cala ed intensifica l’oscurità, la perdizione, la deviazione. La pazzia. Manes: entità assurda, difficile da capire, da seguire, a volte anche da accettare. C’è sempre Cernunnus dietro questo progetto (come del suo moderno/tadizionale alter-ego Manii), e c’è sempre la controversa direzione elettronica, dark wave, dark pop, prog and trip. E’ assolutamente necessario essere di ampie vedute per dedicarsi ad un disco dei Manes successivo alla prima era (ma ci sono sempre i Manii…), in quanto le radici metal sono totalmente scomparse da molto tempo, ed è solo la negatività intensa che accomuna questa musica ai generi più estremi del metal. Ma Manes, con i suoi fedeli ascoltatori -molti sopravvissuti alla prima epoca- è la conferma che non è il genere musicale a dettare le regole, non è nemmeno il trend, l’epoca o il mercato. E’ la sensazione. Il feeling. I concetti profondi, psicologici, spirituali. E “Be All End All” non fa differenza. Non è chiaro se si tratta del disco di (un altro) ritorno o se (un altro) addio, il vero farewell all’insegna dell’esperimento totale, della decadenza assoluta. Resta il fatto che questi trentanove minuti sono ad altissimo livello emozionale, mostruosamente coinvolgenti e passionali… è solo necessario lasciarsi andare, abbandonarsi. Perdersi. Un album da ascoltare con la mente triste. O sotto l’influenza di stati di euforia alterati. In solitudine. Lontani dal mondo, lontani dalla vita, da ciò che ci circonda. Trasporta lontano la opener “A Deathpact Most Imminent”. Divagazioni digitali stupente, immerse in un mare calmo, piatto, impenetrabilmente oscuro, con “Ars Moriendi (The Lower Crown)”. Epicità digitale su “A Safe Place In The Unsafe”, lontana da tutto, dalle regole, dai concetti “Blanket Of Ashes”. “Broken Fire” è un monumento alla decadenza, mentre “Free As In Free To Leave” è un elemento elettronico pulsante, dotato di energia propria, di vita alternativa. “Name The Serpent” trova nuove direzioni vocali, stupende, luminose, cristalline, capaci di uscire da quel velo di oscurità… mentre da sotto una provocante chitarra disegna geroglifici criptici, eroticamente attraenti. Ma con “The Nature And Function Of Sacrifice” tornano le tenebre. Calano avvolgenti, misteriose… prima di arrivare ad un’alba contorta, irrequieta, assurda con “Turn The Streams”, dove diventa sempre più difficile -impossibile- classificare i Manes e la loro musica. A meno che non si parli di libertà artistica assoluta, una libertà conquistata, una libertà guadagnata, meritata. Musica da ascoltare, sentire, percepire. Musica da iniettare, respirare, deglutire. Musica da abbracciare: un abbraccio caldo come l’amore, freddo come la morte.

(Luca Zakk) Voto: 9/10