(Magic Circle-Audioglobe) Immaginate di essere un professore di liceo. Nella vostra classe c’è un alunno eccezionale, che nei primi tempi vi ha dato incredibili soddisfazioni e vi ha fatto quasi piangere di gioia per la sua bravura. Poi, improvvisamente, quasi da un giorno all’altro, cambia radicalmente: non si presenta quasi mai alle interrogazioni (quattro in sedici anni!!!) e quando lo fa vi rifila sempre la stessa lezione; truffa i suoi amici vendendo loro materiale scadente a ripetizione e chiedendo continuamente soldi; si fa filmare mentre fa sempre le stesse cose (per ben SETTE volte); quel poco che fa lo lascia pure a metà (che fine ha fatto la Asgard Saga sulla quale Wolfgang Hohlbein doveva addirittura scrivere un libro?!?!); e quando finalmente lo mettete sotto torchio non vi porta i compiti che gli avevate assegnato, ma vi ripete la stessa frase di scuse in quindici lingue diverse. Poi ecco che, quando avete perso ogni speranza, vi presenta un compitino striminzito, da sei meno meno, stiracchiato e ortodosso, che avreste senza dubbio rifiutato da uno qualunque dei suoi compagni: e mentre lo state leggendo vi annuncia da subito che vi presenterà lo stesso tema a Settembre cambiando giusto due frasi, e che tanto vi deve bastare. Questo è “The Lord of Steel”, uscito ora soltanto in digitale (in modo da non dover neanche pagare le spese dello spartanissimo ed elementare booklet, che il compratore deve stamparsi da solo), ma che ci sarà ripresentato dopo l’estate sicuramente identico tranne per qualche coro e magari una ‘indispensabile’ canzone in più. La titletrack che apre il disco è subito la fiera delle banalità e senza neanche un ritornello vincente. Almeno “Manowarriors” è orecchiabile; “Born in a Grave” andrebbe anche bene ma l’infinita ripetizione del refrain (sì, le idee in questo disco si sprecano!) stanca e annoia. Promuoviamo il ‘lento’ “Righteous Glory”, pare che brani di questo tipo DeMaio li indovini ancora; ma poi ditemi le vostre sensazioni ai tre minuti di basso distorto che aprono la monocorde “Black List”, forse il pezzo peggiore di tutta la discografia manowariana. Un po’ di ritmo, ma niente di che, in “Expendable”, mentre “El Gringo” sembra una outtake dalle sessioni di “Louder than Hell”. Ed eccoci così a “Hail, kill and die” (la fantasia regna sovrana!), costruita come da tradizione con ritagli musicali e testuali di vecchi brani (ecco ad esempio la classica strofa fatta con i titoli delle precedenti produzioni: “On hymns of battle we rode to glory/ Hail england did we/ By the sign of the hammer/ We fought the world/ Kings of metal to be/ Louder than hell/ Warriors of the world/ Now gods of war/ Stand our ground knights immortal/ For metal once more/ Hail kill and die”. Da applausi…). Indifendibili da anni, ora proprio alla frutta: ma c’è chi li difenderà ancora, mi auguro che si diverta a sborsare venti euro alla volta per i prossimi quindici dvd e l’edizione cantata in aramaico antico.

(Renato de Filippis) Voto: 5/10