(Talheim Records) Interessante la storia di questa ex one man band capitanata da Baphomet Van Northorn (ora con altri membri sostanzialmente stabili) e proveniente dall’Indonesia… sicuramente non il paese dal quale ti aspetti queste sonorità pesanti sferzate da ideali pregni di depressione e attrattiva verso il suicidio. Il progetto prese forma nel 2011 con serie intenzioni di rappresentare musicalmente atmosfere strettamente anti umane, pubblicando alcuni EP ed il debutto “Klur”, il quale manifestava già dalla copertina questa assoluta mancanza di attrazione per la vita. In patria hanno avuto serie difficolta di pubblicare il materiale, tanto che esiste del materiale auto-prodotto nella pubblicazione originale su supporti fisici in tiratura tanto limitata quanto introvabile. La salvezza dei Northorn fu l’accordarsi con etichette straniere, per pubblicazioni o ri-pubbicazioni… tanto che ci sono lavori usciti per tedesca Winterwolf Records (ormai chiusa!) e dal 2012 la ucraina Depressive Illusions Records, tra l’altro l’etichetta che pubblica la versione in cassetta dell’EP con lo stesso titolo uscito nel 2017. Questo nuovo “The Art Of Destruction” è un rifacimento e nonostante il titolo identico al precedente, è in verità un quasi nuovo lavoro, con cinque brani (il precedente ne offriva tre) parzialmente rivisitati e riconfezionati, celebrando un nuovo inizio. “Gommorah Sin Upon Sins” è pulsante, non veloce, ricca di linee di basso esaltanti e, in un certo senso, riporta indietro il sound di vari decenni, arrivando a scomodare i primi Immortal. Il DSBM lento ed inquietante, ricco di arpeggi decadenti appare sull’interessante “Inner Temple”, un brano pieno di dolore, con qualche dettaglio tecnico avvincente ed un piacevole generale senso di decadenza, mentre la title track approfondisce i ritmi lenti e lineari, più incisivi e introspettivi, costruiti su un riff doomy monotono ma coinvolgente, con spoken vocals al posto del growl cantato. Oscura e lacerante “I Meditation 666”, con i suoi arpeggi suggestivi, la chitarra solista delicata e struggente, il riff funereo e letale, prima della conclusiva “R-I-P”, brano sferzante un che ricorda il thrash, il death, un sound vicino a quello dei primi Sodom, alternato ad arpeggi inquietanti che riportano dentro una bellissima dimensione depressiva. Con un depressive black spesso orientato a un black lineare ed ancestrale, privo di blast beats, ricco di sonorità vicine agli albori del metal, questi Indonesiani non sono certamente originali, ma riescono indubbiamente a mettere in piedi un lavoro piacevole, un EP che si fa ascoltare con gusto, sia per l’efficenza dei brani che per quel sentore di acerbo, di musicisti spontanei che sembrano essersi formati senza essere ispirati dai vari filoni black europei o americani.

(Luca Zakk) Voto: 7/10