(Avantgarde Music) È diabolicamente glaciale il sound dei russi Olhava, i quali pubblicano il quarto album in soli tre anni. Black metal, black gaze, un sound siderale, galattico, infinitamente tagliente, una lama affilata che incide la carne gelida, sepolta dal ghiaccio. Il titolo è un tributo alla vendetta del gelo: quando la primavera inizia a farsi avanti, quando la natura inizia a risorgere, ecco quel maledetto colpo di coda del maestoso inverno il quale riporta le temperature a livelli incompatibili con la vita, uccidendo quel barlume di risveglio, punendo, condannando… e portando l’intero concetto ad una metafora di sogni infranti, di sogni non realizzati, di una contemplazione contemporanea ed istantanea dello stato delle cose, della realtà e della sua crudele bellezza. L’imponente e lunghissima opener “The Queen Of Fields” è una celebrazione di blackgaze penetrante, tanto furiosa quando siderale, mid tempo provocanti e sfuriate letali annegate in un flusso di detriti cosmici che assaltano senza ritegno l’ascoltatore, con linee vocali sommerse come rimasugli di esistenza post-umana che si non vuole cessare di urlare dentro l’ululato del vento. Introspettiva, atmosferica, delicata “Adrift”, brano meditativo con spunti folk, mentre “Frozen Bloom I” ribadisce i concetti della traccia di apertura, intensificando la componente black e, grazie all’ospite A.Lunn dei Panopticon, divagando con un assolo dissonante, una evocativa parentesi di chitarra classica accerchiata da una teoria corale suggestiva. La conclusiva “Frozen Bloom II”, è un lungo epilogo synth/noise, un brano che in questo turbinio di particelle sonore nasconde dei sottili cambi di tonalità, scanditi da ipotesi corali, un ritmo lento tribale, verso una sfumatura finale che abbraccia il silenzio, la fine, la pace assoluta rappresentata da un senso di sconforto e rassegnazione.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10