(Steamhammer / SPV) Chissà se il ‘già sentito’ e una sommaria sensazione di prevedibilità salteranno nella testa di coloro che ascolteranno “Zero Days”. Prong è il crossover, un risvolto dell’industrial e anche l’hardcore e il groove. Un nuovo album dello storico trio di New York ora residente a Los Angeles, è in una certa misura un evento di cui tenerne conto. I Prong hanno da sempre suonato qualcosa di nuovo o che espandesse in altre direzioni qualcosa di preesistente. “Zero Days” non presenta novità, dunque la prevedibilità di cui sopra la si individua nelle sue melodie, nelle ritmiche e alcuni dei suoi riff. Ogni elemento che compone l’album ha una veste moderna e un suono pulito. Anche questo lavoro come i gli altri del trio, si contraddistingue per i suoni gonfi, lisci e dal timbro deciso, mai laccati e neppure sporchi. Suoni di un certo grigiore che si estende nei frammenti thrash, nelle situazioni in cui il groove metal diventa l’ossatura di qualche pezzo, nelle sfuriate di stampo hardcore e in alcuni ritornelli e bridge che adocchiano l’industrial. Ogni tocco e direzione di Tommy Victor, Mike Longworth e Art Cruz, rappresenta una storia e un modo di concepire il metal nato nel 1986, quando i Prong iniziarono a registrare i primi demo. In quegli anni solo Victor era in formazione, mentre Longworth e Cruz sono arrivati solo dagli anni 2000. “Zero Days” è dunque un insieme di cose ampiamente note ai fans e da loro amate. Victor ha scritto dei pezzi che si lasciano seguire e per cui si arriva fino in fondo a “Zero Days”, un album che non è stantio e dove i Prong sono smaccatamente se stessi e guardando alla propria storia. In queste canzoni si ritrova la parte sana della band. L’album è l’incrollabile concretezza di un marchio che ha cementificato i punti di approdo delle direzioni di stile prese nel corso dei decenni dal thrash e dall’hardcore. Nessun ritorno alle radici e nemmeno un salto nel futuro. Questo è il punto zero di un sound da sempre progressivo .

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10