copsabaton5(Nuclear Blast) Quanto ce l’abbia con i Sabaton credo si possa evincere chiaramente da QUI, dove ci sono anche gli opportuni rimandi alle mie precedenti tirate contro i panzer svedesi; il loro ottavo full-“length” album sicuramente non mi fa cambiare idea… anzi credo possa confermare che i nostri eroi sono completamente bolliti e ormai privi di idee (e stavolta, da un rapido giro delle recensioni internazionali, sembra che non sia più l’unico a pensarla così…). “The last Stand” è 35 minuti di riciclaggio assoluto al minimo sforzo: non c’è veramente nient’altro da dire su questo disco, che fa salire una incazzatura veramente feroce a chi segue la band dagli esordi, quelli sì veramente gloriosi. Si comincia con “Sparta”: epica e godibile, certo, ma basta pensare a come hanno reso lo stesso tema gli Holy Martyr, o anche una band di terza fascia come i Sacred Blood, perché i Sabaton suonino immediatamente pacchiani e dozzinali (e rubano pure, a un certo punto, la celebre schitarrata di “Child in Time” dei Deep Purple!). Incalzante “Last dying Breath”, poi a mio giudizio “Blood of Bannockburn” sbaglia i toni (troppo allegri e squillanti) per raccontare le vicende di William Wallace e della lotta fra scozzesi e inglesi all’inizio del XIV secolo. “The lost Battalion” si riduce al proprio ritornello, ripetuto davvero troppe volte per un brano di 3’40’’; pomposa, ma elementare, la titletrack. Forse la vetta del disco è “Shiroyama”, ovviamente legata al Giappone e ai Samurai: ma sembra sempre tutto di plastica, e non bisogna risalire agli anni ’80 per farsi venire qualcosa di meglio nello stesso genere e sullo stesso tema (naturalmente, “Bushido” degli Hammerfall). “Winged Hussars” sembra una versione scadente di “Art of War”; si chiude con “The last Battle”, così breve che non saprei come commentarla. Dal vivo i Sabaton possono essere potenti, coinvolgenti e divertenti quanto volete: su disco, a mio modesto parere, non valgono più molto almeno da “Coat of Arms.

(René Urkus) Voto: 5/10