(Invictus Productions) L’EP del 2014 “Death’s Crown is Victory” aveva fatto ben sperare tutti gli appassionati, ma ci sono voluti altri quattro anni per avere un nuovo disco dei Solstice: il che significa che gli anni di distanza dal precedente full-length, “New dark Age”, sono esattamente venti! I britannici si premurano di precisare che “White Horse Hill” dura 46 minuti perché è stato scritto espressamente per il formato vinile, e anche se per la recensione ascolto soltanto i file mp3, posso immaginare quanto il sound possa migliorare in lp. L’intro “IIII” ha il compito di far sollevare la nebbia, che viene poi squarciata dalla solenne “To sol a Thane”: epic/doom dal respiro maestoso come soltanto i Pagan Altar e, in tempi più recenti, gli Atlantean Kodex sono riusciti a creare. Il brano, molto guitar oriented, si sviluppa per otto minuti possenti, esaltati dal cantato baritonale di Paul Kearns. La titletrack si presenta più sostenuta, con un’anima british assolutamente inconfondibile; “For all Days, and for None” è una folk ballad ritmata e decadente, che diffonde un’aura mesta ma allo stesso tempo fiera. Arriviamo così al fulcro del disco, i tredici minuti di “Under Waves lies our Dead”: i tardi seventies e un qual certo ‘misticismo sonoro’ pervadono il brano in modo palpabile, che manca dall’essere un capolavoro soltanto per un riff portante non memorabile. Al netto dell’intermezzo “Beheld, a Man of Straw”, resta da citare la conclusiva “Gallow Fen”, altro pezzo intenso e crepuscolare. Un disco molto bello, da parte di una band storica, ma che ha ancora molto da dire e da far sentire: che volete di più?

(René Urkus) Voto: 8/10