(Supreme Chaos Records) Ironico titolo per il secondo album degli italiani The Ossuary. Se il precedente album, “Post Mortem Blues”, aveva anch’esso una ironia tetra proprio già dal titolo, questo nuovo lavoro un po’ si ribella a quella corrente che vede, con fascino, tutto ciò che proviene dal nord: morte, gelo, demoni, rituali; C’è poco cercare altrove: i The Ossuary provengono, con fierezza, dall’estremo sud dell’Italia (dalla Puglia)… e quindi il loro funerale non sarà gelido, non sarà tetro o privo di sole, non sarà un rituale celebrato da divinità scandinave o paganesimi sparsi tra il nord o il nord est europeo: il funerale sarà un fottuto funerale del sud e durante tale rito risuonerà una marcia funebre fatta da un doom poderoso, veloce, ritmato, con tracce blues ed una venatura dannatamente heavy metal! Forse solo il timbro vocale volutamente decadente, forse solo i riff ossessivi ed invitanti ad una spirale vertiginosa verso gli inferi (ancora più a sud?), forse certi lick di chitarra e quel downtuning sono i tratti somatici che rivelano la radice palesemente doom; perché -doom o meno- questa band sa offrire un heavy metal possente, travolgente, incessante e -ovviamente- pregno di un gusto occulto espresso alla vecchia maniera, suonando bene, con divertimento, con grinta e senza paura. “Walk Into Sepulchral Haze” è subito feroce e non nega tracce dei vecchi e buoni Cathedral amalgamate all’heavy Maideniano incrociato con il blues. “Maze of no Return”? Si… questo è un labirinto di rock classico… è si tratta proprio di un labirinto dal quale a nessuno interessa ritornare! Ossessiva e molto melodica “Belphegor”. Introspettiva ed oscura la lenta e pesante title track, un esempio di doom di classe, sulle linee guida di Lord Vicar, Reverend Bizarre e Pentagram. Rock ‘n’ roll sferzato da metallo pesante con “Eternal Pyre”, dark rock d’annata con la provocante “Sleep Demon”, voce che raggiunge una potenza avvincente sull’intensità di “Under The Spell”, prima del doom esplicito e crudele della lunga e conclusiva “Shadow Of Plague”. Heavy metal. Doom. Rock classico. Anni ’70. E del maledetto blues. Un mix superlativo di generi che in questo album si attorcigliano l’un l’altro come fieri rettili che si azzuffano per il dominio assoluto. Linee di basso calde. Riff micidiali. Linee vocali intense. Chitarra provocante che vuole essere parte della band e non una dimensione indipendente, nonostante gli assoli siano sempre coinvolgenti. Un album sincero, un album con gli attributi. Un album di quelli che ormai stanno diventando una rarità; i The Ossuary non cercano evoluzioni complesse per far uscire il genere da quel circolo vizioso e ripetitivo: loro tornano alle radici, alla sintesi… alle pure e meravigliosi origini di quel circolo vizioso!

(Luca Zakk) Voto: 8/10