copvirginsteele4(SPV) Fra 1999 e 2000, i Virgin Stele pubblicarono “The House of Atreus”, la loro personale rilettura dell’‘Orestea’ di Eschilo… e sicuramente una delle loro opere più riuscite. La SPV la ripresenta oggi in un lussuoso digipack a tre cd, che contiene entrambi gli Atti (all’epoca usciti separatamente). E anziché perdere altro tempo a descrivere il contesto e a narrare aneddoti, preferisco spiegarvi direttamente cosa ascolterete in questa ristampa… L’inizio di tutto, “Kingdom of the Fearless”, è così barbarico da essere sublime… il riff crudele di Ed Pursino, DeFeis che urla la rabbia di Agamennone, e il momento in cui si fa silenzio e si sente sguainare, terribile e portatrice di morte, la spada della vendetta… un avvio magistrale. “Through the Ring of Fire” ci riporta alle atmosfere ultrapower di “Invictus”, con quel coro finale di feroce bellezza; “In Triumph of Tragedy” ci dispiega davanti il potente motivo che si ripresenterà più volte nel corso del primo capitolo, e che costituirà quasi interamente, ad esempio, “Agony and Shame”, il sardonico canto di vittoria di Egisto, posto a fine scaletta, tutto sospeso fra la furia omicida e l’amore per Clitennestra nel momento del trionfo (‘I trust you / I want you / I need you / ‘Till the End of Life’ sono infatti gli ultimi versi). Straniante “Return of the King”, con quel riff così particolare, che sembra quasi in controtempo; “Flames of the black Star” è da sempre uno dei miei brani preferiti, grazie alla sua strofa lunghissima su quel meraviglioso tappeto di tastiere, e al ritornello che si ripete nel finale in un crescendo quasi insostenibile. Il ritorno di Agamennone è affidato ai tre minuti di “And Hecate smiled”: e io non posso fare altro, per descrivere questa canzone, che ripetere le parole di DeFeis, ‘See the Fire spreading / See the Tower burn / I hear the Voices calling / See the King’s Return!’. Un meraviglioso stacco di pianoforte (“A Song of Prophecy”) e poi è il momento dell’accorato lamento di Clitennestra, che su “Child of Desolation” si scopre incredibilmente fragile prima della vendetta: interessante notare come gli ultimi fraseggi siano ripresi, con qualche variante, dall’inizio di “Crown of Glory (Unscarred)”. Nella “G Minor Invention” torna anche l’immortale tema di “Emalaith”, mentre “Day of Wrath” è il punto più classicamente barbarico del disco, due minuti veramente tragici nel senso originario del termine, che Eschilo avrebbe certamente approvato. Rabbia e furia, ancora, con l’heavy arcigno di “Great Sword of Flame”; la tragedia si è compiuta, e la struttura stessa del disco si frammenta in canzoni brevissime e cariche di pathos (“The Gift of Tantalos”), di malinconia e dolore (“Iphigenia in Hades”), di una ingestibile tristezza (“Garden of Lamentation”), fino a che il primo atto si conclude con “Gate of Kings”: nel momento di massima disperazione, Elettra chiama suo fratello Oreste con parole di speranza (‘Iron Walls and Chains surround us / Yet we are proud and free / Nothing kills the Ties that bind us / I’ll meet you at the Gate of Kings’). Le atmosfere si fanno più aspre, sardoniche, con l’inizio del Secondo Atto: “Wings of Vengeance” è la sfida, a distanza, fra Oreste ed Egisto, sugellata dalle esortazioni di Apollo (‘By the Rising of the Sun / You will understand this Night / In the Land where your Father died’), mentre in “Fire of Ecstasy” Pursino si inventa un altro riff eighties che si combina alla perfezione ai ruggiti di DeFeis. È il momento di un up-tempo trascinante, perché la tragedia sta arrivando al proprio culmine: “The Voice as Weapon” taglia che è un piacere prima della disincantata e terribile “Moira”, i due minuti e venti secondi in cui Oreste uccide la propria madre (‘Seas of Blood, Clouds hide the Sun / The Day goes Black in my Arms’, sussurra Clitennestra prima di morire)… un altro dei momenti in cui DeFeis dimostra di essere in perfetta sintonia con Eschilo nonostante i 25 secoli che li separano. E ora tocca ad Oreste: “Nemesis” è un annuncio della follia a di là da venire, poi “The Wine of Violence” investe tutti con una furia incontrollabile e ormai divina. Non è il momento più ferale: bisogna aspettare il punto in cui finisce l’intro di “A Token of my Hatred” e, nel silenzio, si staglia cosmico l’urlo ‘I bring Vengeance’ perché “The House of Atreus” raggiunga il proprio picco assoluto. Gli otto minuti di questa canzone contengono tutto ciò che DeFeis voleva e poteva dare alla sua personale rilettura dell’‘Orestea’, e gli ultimi due, con la ripresa del refrain e la coda a cori sovraincisi, sono fra le vette indiscutibili dell’heavy metal. Dopo questa tempesta, “Summoning the Powers” suona come una catarsi: la violenza resta ma si è già in qualche modo inquadrata in strutture più gestibili. Arriviamo così all’ultima parte, secondo molti la meno riuscita, ma che a mio giudizio è semplicemente diversa: per il giudizio e la follia di Oreste in lotta contro le Erinni DeFeis ha voluto semplicemente scegliere un registro leggermente più classico (nel senso musicale del termine). Certo, la gloriosa “Flames of thy Power” inizia esattamente dove era finito il cd precedente, e anche la splendida e accorata “Arms of Mercury” può ben fare da pendant a “Child of Desolation”… poi la suite di “By the Gods” spezzetta di nuovo il continuum musicale, fra stacchi dal sapore antico, un refrain memorabile (“The Judgment of the Son”) e altri momenti di lucida malinconia (“The Fields of Asphodel”). C’è ancora spazio per un’altra grandissima power ballad, “When the Legends die”, con il lamento di morte di Oreste (‘Kill the Father, kill the Son / Kill each other, Work is done / Pain is Nothing, even Gods can lie / When the Legends die’); segue la seconda suite, a larga prevalenza strumentale, dominata dalle escursioni pianistiche di “Fantasy and Fugue in D minor”. I dieci minuti di “Resurrection Day” chiudono trionfali questo incredibile viaggio prima della ricca messe di bonustracks, recuperate dal raro mini “Magick Fire Music” che all’epoca uscì fra il Primo e il Secondo Atto. Devo veramente dire altro? Questo è l’epic metal in una delle sue vette di splendore.

(René Urkus) Voto: 10/10