(Century Media) Fin dal 1998, anno del mitico “Restless & Dead”, gli svedesi Witchery hanno pubblicato dischi capaci di crivellare il cervello con riff letali incastrati dentro il loro death/speed/thrsh, che in qualche modo ricorda certi periodi dei Sodom. A sei anni dall’ultimo lavoro, ecco il sesto full length il quale non offre sicuramente sounds gentili o riff rilassati… ma che propone ancora una volta cambiamenti in line up, come il nuovo vocalist, il quarto della loro storia: ormai non ci sono più il mitico Tony Kampner (l’originale), e se ne sono andati pure Emperor Magus Caligula ex-Dark Funeral e pure l’ex-Marduk Legion); Le new entry sono Angus Norder, anche vocalist dei Nekrokraft, e Chris Barkensjö, il nuovo drummer. Fortunatamente il resto della band rimane (tutta gente che milita o militava in acts come The Haunted, Seance e Arch Enemy), e nelle sonorità si sente perfettamente quella continuità stilistica che propone riff taglienti, melodie e assoli coinvolgenti ed un diffuso senso di rabbia, violenza ed oscurità totale… dando spazio ai nuovi componenti di esprimersi con una particolare nota positiva per il singer. “Lavey-athan” apre spudorata e si sente subito quel grezzo che un po’ ricorda le origni, senza dimenticare quelle influenze un po’ Sodom, un po’ antichi Entombed, caratteristiche che assicurano amore a primo ascolto per chiunque fosse attratto da quelle sonorità e, per l’appunto, i primi Witchery. Dinamica e ricca di groove “Zoroast”, spietata e diretta “Netherworld Emperor”, canzone che verso la metà cambia ritmo, apre verso qualcosa di atmosferico, prima di sgranare un riff malato pensato per disintegrare vertebre e strutture ossee generiche. Letale e tetra “Nosferatu”, veloce “The Burning Of Salem”, pezzo con una progressione esplicitamente thrash. Inquietante “Empty Tombs”, altro brano dove la condanna delle vertebre è comunque assicurata, scheletri spezzati … o rimborsati. Se anche i Kreator, oltre ai loschi figuri già citati, erano nella lista dei brutti ceffi che occupavano le vostre pareti con poster minacciosi, allora “In Warm Blood“ vi regalerà intime decadenti soddisfazioni. “Escape From Dunwich Valley” apre ecclesiastica, quasi una sorpresa… ma poco dopo vi arriva in faccia l’ennesima spranga di metallo, fracassando dentatura, ossa, l’intero cranio… mentre il brano offre spunti sia black che melodici. Irrequieta e drammatica “Feed The Gun” mentre la conclusiva “Oath Breaker” saluta con violenza ma anche una impostazione teatrale veramente attraente. Patrik Jensen, uno dei chitarristi e fondatori della band, lo ha dichiarato: “Voglio un album più grezzo dei precedenti, forse più grezzo del primo. Non voglio troppa produzione, in quanto mi piace che la musica venga dai sentimenti e dall’entusiasmo, piuttosto di quella elaborata e costruita a tavolino”. A giudicare dall’inquietante dolorino che provo al collo e in corrispondenza di vari altri ossicini malandati, credo proprio che Patrik ci sia riuscito perfettamente. Ora vediamo cosa dichiareranno radiologo ed ortopedico…

(Luca Zakk) Voto: 8/10