Chi dice Frantic, dice Festa! E che Festa!
Nel cuore dello Stivale da qualche anno ha preso vita un geniale progetto che è assolutamente in linea con lo spirito dei grandi festival di musica rock/metal europei. Il Frantic Fest ha un cervello festaiolo, esuberante e poliedrico tutto italiano, immerso nel contesto del paesino abruzzese di Francavilla al Mare, rinominata giocosamente “Francavilla al Male”, tra l’Appennino e la Costa Adriatica.
Ogni buon estimatore di musica del genere in questione sa perfettamente che per vivere l’atmosfera dei grandi eventi più blasonati, deve necessariamente vagare in giro per l’Europa, ma l’intento del Frantic Fest è proprio quello di portare una fetta di questo mercato in Italia. Qui si respira la vera atmosfera di un festival a tutto tondo, dal campeggio, anche se ancora di capienza limitata, al cibo, alla musica.

Con la sua proposta ampia, variegata e sempre in crescita, “Shti Vermi” (nomignolo affibbiatoci dai francavillesi un po’ meno contenti, divenuto ormai uno dei simboli del festival), si godono tre giorni ai limiti della follia. Dalle band di nicchia, a quelle Italiane affermate e in forte crescita, dall’hardcore estremo, al black metal, al punk, e molto altro, di sicuro, non ci si può annoiare.
Tra arrosticini e birra, ma da quest’ anno, anche con proposte vegane o di altro genere, ci si muove tra i due palchi del centro sportivo che ospita l’evento, in un contesto intimo e contenuto data la capienza ridotta del luogo. E come ogni assiduo frequentatore di festival già sa, una volta varcata la soglia si dà il via alla più profonda delle condivisioni.

Il Frantic e tutto lo staff di persone instancabili che lo tengono in piedi, e che ogni anno lo migliorano, hanno assolutamente chiaro il concetto di come e cosa si deve fare per saziare occhi e orecchie degli entusiasti paganti, a partire dalle band in cartellone, al merch intrigante e pieno di carisma, al cibo tipico della terra abruzzese, amato da Nord a Sud.
Una miniatura perfetta, che in grande stile offre diverse chicche irrinunciabili. 

Ma dopo questa breve introduzione dove, sono sicura, avrete già voglia di prenderne parte l’anno prossimo, vi racconto di questi tre giorni, quest’anno , dal 17 al 19 agosto, esilaranti, emozionanti e ricchi di nuove scoperte. Avevo in testa tutti i ricordi dell’edizione del 2019, alla quale partecipai per puro caso grazie ad uno degli sponsor (Radio Rock 106.6, emittente romana), ed ero già pronta a rivivere questo amore fugace che mi aveva rapito il cuore quattro anni prima.

Giorno 1, giovedì 17 agosto

Il giorno 1, quello che in realtà aspettavo con più entusiasmo, si è aperto alle 15.00 con una carrellata di band Italiane che non si sono lasciate intimidire dal caldo insopportabile patito già dalla fila in cassa per il ritiro dei bracciali.
A scaldare il Tent Stage già infuocato dal sole, sono stati i Bosco Sacro, con le loro sonorità  doom, ambient e a tratti un po’ folk  e quelle puramente black metal del duo dei Nubivagant, con un alternanza di velocità e ritmi diversi per un risultato inaspettatamente affascinante.

È l’ora di spostarsi verso il Main Stage alla scoperta degli Slaugther Messiah, il quartetto belga che ha scatenato un pogo pazzesco e disordinato a suon di riff secchi e crudi tipici del trash metal, ma con l’intensità del death. Lord Sabathan sa esattamente come essere un frontman scatenato e sopra le righe. Le loro sonorità, a tratti in perfetto stile Slayer, hanno tenuto alta l’attenzione e regalatoci i primi lividi del festival.

Tra il primo e il secondo palco si sono alternati poi i Calligram e i Dread Sovereign. I primi, dal carattere confuso e difficilmente collocabile, hanno proposto brani spazianti dal black all’hardcore, sicuramente da riascoltare con più attenzione, penalizzati dal meteo estremamente soleggiato che decisamente non si è sposato con il loro genere cupo e distorto.

Aspettavo di vedere con estremo entusiasmo i Dread Sovereign, creatura nata dalla mente di Alan Averill, leader dei Primordial. Anticipati, in scaletta per un inconveniente avuto da un’altra band che avrebbe dovuto suonare prima di loro, gli irlandesi, non hanno deluso le aspettative dei presenti. Decisamente innamorata dei Primordial, non potevo che apprezzare l’heavy-doom ruvido e cupo catapultato sul palco senza troppe presentazioni, il cui animo selvatico e sfuggente ha incalzato per un ora senza che io riuscissi a distogliere l’attenzione nella corsa all’ascolto dell’ultima nota.
Alan, ormai di casa al Frantic Fest, ha concesso foto ricordo con tutti i fan.
È l’ora di una piccola pausa per cenare ed ascolto i successivi Hierophant solo da lontano, il cui carattere puramente black è distinguibile a chilometri di distanza, come le luci rosse che illuminano la loro scena.

Finalmente mi posiziono molto vicino al palco per godere della potenza malinconica degli Harakiri For The Sky, sicuramente uno tra i gruppi più attesi della serata.
Dopo uno spiacevole inconveniente con la compagnia aerea, gli austriaci sono giunti al Frantic senza la strumentazione, ma questo non li ha scoraggiati e contando sulla collaborazione delle altre band, hanno comunque tenuto il palco con assoluta fermezza utilizzando strumenti non propri.
Io sinceramente non saprei descrivere con esattezza quello che ho sentito sulla pelle in quei 60 minuti, i loro pezzi sono fortemente caratterizzati da ipnotiche e catartiche dimensioni sonore, un viaggio attraverso l’abisso dell’emozione, che già non delude su disco, vi lascio immaginare dal vivo, con l’impeccabile fluidità dei chitarristi capace di rendere fluente anche il riff più aggressivo. Il set si conclude con “Song to Say Goodbye”, cover dei Placebo, come da rito.

Dopo questo viaggio idilliaco, ci arriva come un pugno in faccia, la rappresentazione teatrale degli Inchiuvatu. Band storica Italiana di genere black/goth e folk, di cui io non sono davvero riuscita ad interpretarne l’anima. Testi scritti e cantati rigorosamente in dialetto siciliano, impastati a note inquietanti sono il cuore della costruzione del progetto.
È la volta dei Rotting Christ, non sono fan, ma mi avevano parlato tanto di quanto fosse inebriante il loro show. Hanno reso il palco terreno molle su cui marciare spietatamente. Senza fiato, un brano dopo l’altro, tutti grandi protagonisti dell’intera discografia della band. Gli Ellenici non possono davvero ricevere critiche, c’è esperienza, potenza e grande personalità. Sakis non ha mai smesso di incitare la folla mostrando grande sicurezza. È il tipico atteggiamento di una band che sa il fatto suo, che è perfettamente consapevole di avere tutto in pugno muovendolo a proprio piacimento. Ritmi accattivanti, aggressivi e a tratti liturgici, riff epici e distintivi, hanno mangiato letteralmente un’ora di concerto rendendola la più bella ed appagante esibizione della giornata.

Il primo giorno si chiude con i Misþyrming, islandesi che hanno avuto non pochi inconvenienti ma sono comunque riusciti a calcare il suolo italiano. Il loro black metal è la classica proposta glaciale nord europea che non passa mai di moda e riesce comunque a trovare una buona fetta di pubblico nei più amanti del genere.

…segue

(Simonetta Gino)

Foto: Alex Altieri Photography