(Dine Alone Records) Certi progetti nascono sotto una buona stella… e la stella dei Seagullmen ha se non altro fornito una luce nel mare della musica. Già da tempo si era sentito di questo progetto folle fin dalle premesse, essendoci il batterista dei Tool ed il chitarrista dei Mastodon, accompagnati da figure anche più emblematiche, a partire dal cantante David Dreyer. I Seagullmen dicevamo, ossia gli uomini gabbiano, improbabili figure eroiche di questo debutto che non poteva fallire nel compito di stupire e ridefinire i classici canoni del rock alternativo. L’intro richiama a suoni ittici e marini, un misto di Queens Of The Stone Age e Arcturus, rock potente e deviato, quasi una parodia di non si sa quale pellicola di bassa lega. Ecco, questo si sono dimostrati i Seagullmen, un supergruppo capace di saper giocare con i generi senza mai prendersi troppo sul serio. Sia questa la chiave del loro debutto? Probabilmente. Già “The Fogger”e la doomeggiante “Shipswreck” mettono subito in chiaro le abilità tecniche disumane del combo, ritmi e partiture danno veramente l’idea che se ognuno di questi musicisti volesse davvero mostrare cosa sa fare potrebbe tranquillamente insegnare a quasi tutto il mondo del rock e più in generale della musica indipendente. La title track è puro rock grezzo e possente, dritto al sodo e senza troppi fronzoli, mentre certe ballate come l’ultima traccia o “Curse Of The Redtide” sono pure capaci di creare un’atmosfera aliena, malsana e ancestrale tanto quanto i leviatani marini cantati nell’album. Certo, i nostri giocano con i cliché per tutta la durata dell’album, ma il risultato è un qualcosa di tremendamente serio e concreto, capace di spazzar via in un solo colpo di pinna praticamente tutta la concorrenza nel campo del prog rock e della musica indipendente in generale. Da dei geni indiscussi non mi aspettavo niente di meno che un capolavoro e così è stato. Sia lode agli uomini gabbiano.

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 10/10