(Street Symphonies Records) Opener, “Bad Behaviour”: alcuni accordi elettrizzanti, parte il riff, potente e trascinante, entra un assolo trascinante, e la voce, disinteressata, stracciata, canzonatoria che grida cose nel microfono. Cose sporche, cose offensive, al limite delle decenza, immorali. Ritmo irresistibile, anch’esso sporco. Riff aggressivi, diretti come un colpo di fucile. Distorsione grezza, abuso di wah wah. Pennate di chitarra decise, sprezzanti. Sessione ritmica piena, pervasa di una elettricità esplosiva. Sono in quattro, sono italiani, fanno un gran casino, si auto-adorano, venerano la marijuana e godono ogni volta che salgono sul palco. Si chiamano come si chiamano semplicemente perché suona bene, senza un significato, senza una ragione, senza un motivo. A cosa serve poi? Il loro sound spazza via tutto. Il cantante (e bassista) è un disgraziato che grida insulti dentro un microfono. I loro cori sono gli accenti sulla loro musica. Non gli frega di nulla, voglio solo far casino, far festa, avere donne e spaccare. E sapete cosa vi dico? I TV60 ci riescono perfettamente. “Don’t Call Back” è un frullato di basi ritmiche ispirate ad AC/DC e Johnny Crash (sfida: chi se li ricorda?), con una salsa a base di Mötley Crüe primordiali, il tutto mescolato con uno spensierato sleaze di primissimo ordine. “Sex Circus” fa scuotere chiappe e chiome fin dai primissimi accordi. “Seek Salvation, Find Damnation” non cambia le carte in tavola, ma offre anche un’idea delle capacità tecniche della band, dell’ottimo senso melodico. Semplicemente a loro non importa niente tranne risultare potenti, aggressivi e spudorati. Riescono a far sentire sensazioni punk su “Get Wasted”. Vale più un pezzo come questo che mezza discografia dei Green Day. “Messaline” è una sequenza di duecentoventi secondi di puro hard rock, completo di quei riff così dannatamente electric blues, cosi brutalmente diretti, schietti. Un pezzo fantastico, suonato e cantato in maniera eccellente, con l’immancabile spudoratezza del testo, che arriva far gridare un chiaro e sincero “Fuck You All”. Decisamente il pezzo migliore sotto tutti gli aspetti, con la voce di Mikki che viaggia su un livello qualitativamente superiore. La conclusiva title track è “un altro” tributo alla vera musica, al vero rock. Struttura impeccabile, riff potente, giro di basso eccitante, immancabile in una esibizione live.  Sono in giro da un po’. E’ il loro secondo album. Io non li conoscevo. Chiedo venia, faccio schifo, mi vergogno. Cosa mi stavo per perdere! Questa è la band imperdibile. CD da sparare in salotto, nell’iPod, ad una festa. Concerti imperdibili. Li vorreste vedere esibirsi nel vostro giardino. Poi, però, non crescerà più l’erba.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10