copTriangularCinema(Valse Sinistre Productions) Adoro queste cose così palesemente NON metal che comunque NON possono essere ignorate dal pubblico fedele alle cose heavy, alle cose appartenenti all’oscurità. E basta una sola canzone di questo CD per destare l’interesse di gente che altrimenti non avrebbe mai e poi mai supposto alcun legame con ciascuna delle bands di questo eccentrico split. Ma andiamo con ordine. I Closed Room sono un act di trip-hop elettronico ed alternativo (definizioni un po’ messe a caso per descrivere artisti che cambiano direzione improvvisamente senza alcuna regola visibile al pubblico). Provengono dalla Bielorussia, così come gli altri due act i quali altro non sono che side project di alcuni membri dei Closed Room stessi. Quindi parliamo di una versione extended dei Closed Room la quale dà vita a queste nove intense tracce, variegate, strane, intense, maledettamente emozionali. Si inizia con i Closed Room, e dopo l’ambient digitale ed estremamente tecno-sensuale di “Surrender” è la pulsazione shoegaze di “Dancing in the Dark” che risveglia sensazioni dark-ottantiane, prima di abbandonare le fantasie dell’ascoltatore in un Angelo Badalamenti remake and revisited con la stupenda “Laura Palmer Theme”, sapientemente composta ed arrangiata per intensificare quelle paure, quegli incubi, quelle atrocità che la serie Twin Peaks diffuse nel mondo, sicuramente coinvolgendo moltissimi amanti della musica estrema ed oscura in genere. I Lunacy propongono tre tracce più intense, meno ambientali, più orientate a chitarra-basso-batteria: “One Life Song” è un rock intenso, carico, melodico, mentre “Nightman” è più cinematografica, sognante, dispersa nell’immaginario. Un po’ di metallo emerge con l’ultima traccia dei Luncay stessi, in quanto “Sound of the Storm” offre spazio a riff distorti, ritmiche più pesanti in perfetta chiave gothic metal, anche grazie all’impostazione vocale della bravissima Morena, portando le sonorità nei territori del sound di bands come i Theatre of Tragedy. Le ultime tre tracce sono proposte nelle sembianze dei La Ville Des Rêves: la canzone omonima è un black gaze che alterna atmosfere mentali a nervosismi isterici meravigliosi. Ambientale ed atmosferica “The Last Song”, mentre la conclusiva “Blue Jeans”, pseudo cover in versione dark di un pezzo di Lana del Rey, offre accenti anche in chiave heavy i quali risultano piacevoli e coinvolgenti. In questo disco alla fine ci sono quattro artisti “fissi” ed un paio di guest (basso e sassofono dei La Ville Des Rêves). E questo è l’unico dato fisico, l’unico dato misurabile, l’unico dato nel foglio delle specifiche tecniche. L’unica costante. Il resto? Pura divagazione artistica, pura visione distorta, totale mancanza di confini stilistici, artistici, mentali e spirituali. Una ulteriore prova che la musica viene classificata dai gusti, dalle persone, dai trend… ma nella sua essenza rimane musica, rimane espressione. Rimane arte.

(Luca Zakk) Voto: 9/10