(Nuclear Blast Records) L’impressione generale sui Decapitated è che da 20 anni, cioè da sempre perché la band nasce a metà degli anni ’90, suonano sempre meglio o comunque sempre bene. Poi, bisogna riconoscerlo, negli anni c’è il discorso dell’album di turno in uscita che può piacere oppure no. Se cinque anni fa “Anticult” ha dato da pensare a qualcuno, oggi “Cancer Culture” è un’altra conferma per i fan e al contempo un buffetto a chi nella band decide di trovare sempre qualcosa che non va. I Decapitated sono dei mostri! Suonano fino allo sterminio dell’ascoltatore. Nel metal questo aspetto non è secondario e soprattutto perché non tutti sono capaci di sterminare! “Cancer Culture” è un’altra conferma sulla validità della formazione polacca, la quale negli anni ha subito avvicendamenti di lune-up, tranne per il solido Vogg. I Decapitated si ripresentano come dei sani, onesti e validi distruttori. Anzi, sterminatori nel dominio del thrash/death metal. Tuttavia, lo si riconosce, esiste un limite in questa nuova apparizione della band di Vogg: la mancanza di un gruppetto di pezzi per impreziosire un album. Ne basterebbero tre, tali da essere memorabili e trascinarsi nel cuore dell’ascoltatore il blocco intero di un album come “Cancer Culture”. Stupiscono in molti passaggi, incuriosiscono nell’incipit di molti pezzi, eppure alla lunga i Decapitated restano di fatto intrappolati nel loro suonare funambolico, energico ma non sempre distintivo. Se è “Hours as Battlegrounds”, penultima canzone dell’album, a ridestare l’ascoltatore dalla marea di violenza e lasciarlo incuriosito e parzialmente stupito dall’atmosfera del pezzo e dalla sua stessa struttura, vuol dire che la band si sta imprigionando in qualcosa di anomalo e il buffetto in realtà finisce ai fan. La discografia dei Decapitated non è evidentemente ineccepibile e dopo otto album poi, eppure sembra proprio che la band suoni da sempre come un metronomo all’inferno o in un manicomio. Però l’intraprendenza di un tempo svilisce per fare posto a un suonare riconoscibile e a suo modo unico, ma non è più propositivo e contributivo per la scena.

(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10