(Autoproduzione) Ci vuole coraggio, nel mondo dell’heavy metal. In piena pandemia mondiale, una piccola ma agguerrita realtà heavy/power tedesca mette sul mercato un EP, in un momento anche complesso per la sua storia (due componenti hanno appena dato l’addio). Lo fa con una buona produzione (di Uwe Lulis) e una cover importante (di Markus Vesper… attenzione perché è piena di dettagli parlanti, dalle toppe ai tatuaggi del metallaro): e lo fa per gridare al mondo la propria fedeltà ai suoni e alle atmosfere del power centroeuropeo di ormai due decadi fa… il migliore, quindi. Loro sono gli Elvenpath, questo EP (che finisce poi per durare 39 minuti, ora vediamo perché!) si chiama “Metal O’Clock”, ed è il seguito dell’ottimo “The Path of the dark King”, per chi scrive il miglior disco power del 2019. Quattro i brani in scaletta, tutti molto lunghi: il primo è “One strong Voice”, già presente sull’album appena menzionato, ma stavolta interpretato dal cantante della band, Dragutin Kremenovic, e da dieci guest singer di nazionalità diverse, ciascuno dei quali recita un paio di versi nella propria lingua (a rappresentare l’Italia c’è Alessio Perardi degli Airborn). L’effetto è vicino a quanto proposto, per esempio, dai Majesty con “Metal Union”, ma l’intrecciarsi degli idiomi crea davvero quell’effetto che, come dice il refrain, vuole rendere “Heavy Metal a uniting Force”. “Rage of Storms” è più spigolosa del solito, mentre la classica e veloce “The Hammer shall return” canta le glorie pagane con un refrain d’impatto; ma il picco del disco lo abbiamo con “Cathedral of the Earth”, 17 minuti (gli Elvenpath ci hanno già abituato a composizioni lunghe, ma credo che questo sia il record!) sulle bellezze della natura, con tanto di inserti di arpa e archi a creare una atmosfera spesso vasta e solenne. Un piccolo/grande atto d’amore per l’heavy metal da una formazione che, quanto a fedeltà, attitudine e capacità, non ha nulla da invidiare ai ‘grandi’!

(René Urkus) Voto: 8/10