(Nuclear Blast Records) “Aggression Continuum”, il decimo (undicesimo se consideriamo “Concrete”) album dei Fear Factory, è stato registrato da una band che non esiste già più. Dino Cazares e Burton C. Bell litigano da anni, si mollano, tornano assieme… ma questa volta sembra la lite sia arrivata a livelli irreversibili, tanto che Burton ha mollato di nuovo l’autunno scorso… con questo materiale già registrato, apparentemente nel 2017… lasciando intuire che la band dell’ormai unico membro originale, Dino Cazares, abbia o abbia avuto un magazzino di musica da pubblicare nel tempo, per rispettare i contratti discografici e per prevenire i soliti casini che la affliggono, visto che è tutt’altro che nuova a controversie assurde, battaglie legali, come sicuramente possono confermare personaggi quali Christian Olde Wolbers e Raymond Herrera. Non a caso dopo l’ultimo “Genexus” (recensione qui), gli avvocati dei vari membri della band devono aver lavorato duro, forse causando queesto consistente ritardo, il quale vede ben quattro anni di buco tra registrazioni e pubblicazione. Ma come suona “Aggression Continuum”? Suona bene, la qualità è alta, le registrazioni sono di altissimo livello, ci sono alcuni momenti intensi… ma, dopo tutto, si tratta di un altro album dei Fear Factory, in perfetto stile Fear Factory, quello stile composto da riff taglienti, drumming con la precisione di una macchina, la dualità vocale di Burton… senza niente di particolarmente sconvolgente o innovativo. Il problema, tuttavia, si presenta proprio con il concetto di innovazione: i Fear Factory sono stati innovativi e rivoluzionari agli inizi degli anni ’90, pertanto, oggi, cosa ci aspettiamo? Una nuova innovazione che ovviamente devierebbe dai Fear Factory o vogliamo i soliti noti Fear Factory? Probabilmente è la seconda la strada che la maggior parte dei fans sceglierà, portando al conseguente problema importante; per quanto questo ‘nuovo’ album sia potente, curato, ricco di parti sinfoniche e tecnicamente ineccepibile, in realtà mancano quelle cose immense che questa band fu in grado di creare: quei break down assassini. La voce clean di Burton che non era semplicemente l’opposto del growl, ma aspirava a dimensioni spirituali eteree. Il basso distorto schiaccia sassi. Manca quella furia cieca che si nascondeva dietro persino su “Mechanize”, il primo disco del ritorno di Cazares. I brani comunque sono di alto livello: tagliente e pungente “Recode” con imponenti aperture sinfoniche, aggressiva “Disruptor” con quel refrain clean dal gusto goth, teatrale e drammatica la title track. “Purity” è molto coinvolgente, ma il ritornello ha un feeling troppo simile a “Disruptor”. Le clean di Burton spinte dentro un turbinio di effetti avrebbero accresciuto il valore della comunque interessante “Fuel Injected Suicide Machine”, mentre parliamo di death sinfonico su “Collapse”, di metal sinfonico torturato dal sound dei Fear Factory con “Manufactured Hope”. Ricercatezze di batteria accrescono il valore di “Cognitive Dissonance”, altrimenti un brano death lineare con parti sinfoniche ed un vocalist fuori dal normale. “Monolith” esce dagli schemi e attira la mia attenzione: un mid tempo ricco di luci neon e sferzate digitali, un cantato clean penetrante, molto rock ed una sezione pesante sferzata da sinfonie ed una impostazione epica. In chiusura la vibrante e ben riuscita “End Of Line”, un pezzo dove l’elettronica viene usata per elettrizzare e sconvolgere, piuttosto che trasportare verso paradisi sinfonici. Dopo tanti anni, tanto metal estremo capace di seguire innumerevoli strade (basti pensare la black), “Aggression Continuum” è quasi un (altro?) album di industrial metal sinfonico. Ma questi sono i Fear Factory? Assolutamente si. No, davvero, ma sono davvero i Fear Factory? Beh, forse no.

(Luca Zakk) Voto: 7/10