(My Kingdom Music) Un prodotto singolare, l’esordo degli Holy Tide: una band che mette assieme artisti italiani (tutto nasce per volontà del bassista campano Joe Caputo), brasiliani, inglesi e oggi americani (in formazione è da poco entrato Davis Shankle!), per un sound che mette assieme… forse troppe influenze, dal power al gothic al prog al modern metal, passando per il rock classico e talora perfino per il thrash. “Aquila” è un disco molto lungo, sfiora infatti l’ora e dieci minuti, e in mezzo a ottimi brani c’è talora qualche lungaggine di troppo… La intro sinfonica sfocia nell’altrettanto sinfonica “Exodus”, brano che sceglie la solidità (ma anche un assolo dai toni shred) alla velocità a tutti i costi. Serrata “Godincidence”, mentre “Curse and Ecstasy” ha delle movenze progressive e un finale inatteso, con quella che sembra essere una tromba. Le linee vocali migliori le abbiamo nella fluviale “The Crack of Dawn”, martellante “Lord of the Armies”, dove però il gran lavoro alla batteria di Michael Brush dei Magic Kingdom è un po’ rovinato da una produzione non eccellente. “The Age of Darkness” ha un approccio che definirei modern metal, sia per il taglio del cantato che per i suoni di batteria; è poi il momento degli ospiti, perché “The Sheperd’s Stone” si fregia di un assolo di Don Airey che è ovviamente un inno ai seventies, e “Lamentation” è cupamente cantata in tedesco da Tilo Wolff dei Lacrimosa. Più violenza, qualche growling e un’altra volta una batteria potente ma dai suoni poco efficaci per la conclusiva “The Name of Blasphemy”. “Aquila” è un caleidoscopio di suoni e influenze non sempre amalgamate alla perfezione: c’è del buono, e anche molto, ma per chi scrive scegliere una direzione (o anche due, dai!) avrebbe giovato alla resa complessiva.

(René Urkus) Voto: 6,5/10