(Autoproduzione) La nuova frontiera del Black Metal Sinfonico. Il quale progredisce, muta, incontra il gothic, e si ripresenta in una nuova genetica distorta che avvolge, abbraccia, in un freddo abbraccio mortale. Un’idea, un sogno, che parte dalla lontana Bielorussia, e che si realizza nell’empia mecca del black metal: Bergen, Norvegia.  Qui gli Homoferus trovano la loro dimensione terrena e danno genesi a un progetto fantastico che fa affluire acque fresche e cristalline nel marciume consumato di un fiume troppo inquinato, troppo caotico, troppo ripetitivo. Capitanati dalla forza creativa del leader, Nil Dilian, e supportati in studio da Dan Swanö, danno vita a questo album, la cui pecca è solo la breve durata (mezz’ora o poco più). Perfetto equilibrio tra vena black, componente sinfonica e influenza gothic. “Herocly” è un chiaro esempio di cosa questi Homoferus sono capaci di creare, di come riescano a rapire l’ascoltatore con idee armoniose, mai ovvie, mai scontate, mai ripetitive.  “Hatred by Name” è la risposta alla domanda di molti appassionati di black sinfonico. Potente e cattiva “Iron Butterfly”, forse tra i pezzi più black dell’album. Le idee nuove non finiscono qui: “Reality Show” rappresenta un nuovo modo di trasmettere la furia del black, con influenze quasi progressive. Un grande album che chiude in maniera eccellente con gli ultimi tre pezzi: “Riok”, la quale si sgancia dal resto, e genera un’atmosfera deliziosamente oscura, grazie ad una ritmica accattivante, ed ad un uso dell’elettronica intelligente e tetro. “Leexem”, ottimo esempio di cosa ci si aspetta dal black sinfonico: melodia che rapisce, ritmica brutale, intermezzo di estrema potenza. La conclusiva “Shadow’s Confession”, caratterizzata da una parte molto tetra e trionfale, un crescendo di sensazioni che la rende tra le migliori tracce dell’intero disco. Un gran disco. Un nuovo nome nella scena che merita di essere conosciuto.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10