(Karisma Records) Questo impegno della norvegese Karisma nello scovare band dal superlativo feeling prog d’annata sta diventando, per me, una droga… una dipendenza intensa della quale non ho alcuna intenzione di fare a meno: semplicemente non voglio smettere. I Lucy In Blue sono una band Islandese composta da quattro ragazzi giovanissimi, dotati di immenso talento, i quali invece di seguire i vari ripetitivi trend pop della loro generazione, hanno deciso di abbracciare sonorità collocabili tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, ispirandosi ai lavori di leggende quali Pink Floyd, King Crimson, Camel e, perché no, anche gli Hawkwind. Siamo in pieno territorio prog psichedelico: davanti all’ascoltatore si materializzano verdi prati fioriti, galassie lontane ma amiche, caleidoscopi onirici, colori sfumati da un sogno sfuggente impossibile da catturare dopo il risveglio, uno di quei sogni che si possono ricordare ma che ci lasciano immersi in un senso di pace spirituale, mentre il sole fa capolino all’orizzonte, mentre i primi raggi di sole baciano il cuscino sul quale appoggiamo il capo. “Alight, Pt. 1” apre gli occhi verso percorsi interstellari illuminati da Soli remoti che creano arcobaleni cosmici di divina bellezza, accompagnando verso l’irrequietudine di “Alight, Pt. 2”, un brano che emette pulsazioni elettriche di analogica intensità. La linea di basso che apre e domina “Respire” è pura emozione carnale: il brano emana l’energia di forze spaziali in contatto con la bellezza della natura terrestre, il tutto travolto da linee vocali passionali, keys lascive ed un gran finale dal feeling intersiderale. Ansiosa e dannatamente prog la contorta “Matricide”, bagliore di una galassia popolata da infinite stelle nascenti con “Nüverandi”, prova di forza con la pazzia di “Tempest”, un brano che apre nervoso, instabile, prima di trovare una pace emato-encefalica la quale dura poco lasciando spazio ad una totale instabilità mentale. La title track è un lungo viaggio, sempre intenso, a tratti spirituale, a volte analogicamente digitale, spesso carnale, assolutamente mentale, diabolicamente ardente e descritto musicalmente con cristallina voluttà. La conclusiva “On Ground” è la fine del viaggio, il ritorno a casa, all’originale punto di partenza, alla piattaforma di decollo del prossimo coloratissimo vagabondaggio internebulare. I Lucy in Blue iniettano una tecnica sublime in ogni brano, ma sanno costruire un prog fruibile anche ai meno esperti: i brani non sono mai troppo lunghi (tranne un paio), ma contengono tutti i dettagli e le componenti per scatenare quel viaggio mentale che questo genere musicale vuole e deve offrire. Intensi, emozionanti, incredibilmente sensuali: un sound con calore intenso, un calore che scalda il cuore, stimola la mente ed esalta con provocante dolcezza quella surreale dimensione nella quale germogliano i sogni.

(Luca Zakk) Voto: 9/10