(Les Acteurs de L’Ombre Productions) Questa volta lo schema è basato su otto brani, con durate ben precise… in minuti, rispettivamente: 4, 8, 8 , 4, 4, 8, 8, 4. Come vi dissi in occasione di “Nebula Septem” (recensione qui), la band francese ha una misteriosa mania per metriche precise, per la numerologia, un simbolismo matematico occulto; in passato si sono prodigati, ad esempio, producendo album con tre brani tutti da 15 minuti esatti, oppure sette tracce da sette minuti ciascuna. È un enigma decodificare i geniali Monolithe… anche perché ci sono altri schemi che emergono, come le quattro tracce da 4 minuti del nuovo lavoro (ovvero le tracce strumentali), che in realtà sono due tracce divise in due parti ciascuna… tornando all’idea che l’album contiene di fatto solo brani di otto minuti! Che poi i pezzi siano siano sei o otto, questo è un altro concetto sul quale posare il pensiero, scervellandosi, trovando un algoritmo per interpretare la mente calcolatrice della band… la stessa mente che ha dato vita a musica così complessa, avvolgente e provocante! La prima parte della title track, strumentale, seduce, stimola, coinvolge con progressioni sublimi, archi che emergono tra le chitarre, suggerimenti shred ed arpeggi malinconici. Ma è solo l’inizio! Con “Onset of the Eighth Cycle” (ecco il numero otto…) si inizia a fare sul serio, e si capisce che il dark doom dominante nell’album precedente è ormai scomparso, facendo posto ad una libertà espressiva unica, diversa, eterogenea, originale e priva di qualsivoglia confine stilistico. Linee di basso intense, elettronica di sottofondo che porta lontano, in un cosmo freddo e spietato, mentre keys suggestive circondano chitarre pesanti ed un vocalist che materializza gli inferi doom più profondi in un brano che inneggia alla fine, trionfando con un nuovo inizio. “Dissonant Occurrence” intensifica quella componente cosmica (specialmente nell’apocalittico finale), ma anche quella progressiva, in quanto il brano prende direzioni diversi, con un drumming jazzistico che si propaga verso l’intero ensemble, un basso mostruosamente superlativo e teorie melodiche in costante e sorprendente evoluzione, le quali danno spazio anche a fantastiche clean vocals. L’orgasmo arriva con “Ignite the Heavens (Part 1)”: il brano è strumentale, ma è costantemente supportato da minacciosi vocalizzi di sapore tribale, con provocazioni di chitarra e geniali impulsi digitali; strumentale, certo, ma è il favoloso sassofono a prendere il posto del vocalist, disegnando caleidoscopi sonici di inarrivabile bellezza, spingendosi fino al duetto con delle chitarre impegnate in un crescendo energetico, un brano che senza dubbio invade con violenza il territorio occupato storicamente dagli Hawkwind. La seconda parte di “Ignite the Heavens” segue immediatamente (evidenziando anche la bellissima simmetria nelle teorie numeriche dei Monolithe), spaziando in un pesantissimo scenario atmosferico dal gusto brillantemente apocalittico il quale non nega lo spazio per un poetico contrabbasso ed un delicato flauto. Una epicità infernale appare nella decadenza di “The Great Debacle”: brano con un doom molto più sinfonico, sempre con un basso irresistibile, un pezzo con la capacità di crescere fino ai confini del noise. Drammatica “Disrupted Firmament”, canone che sorprende per la molteplicità vocale: una strofa con un potente clean il quale si esalta nel ritornello, fino alla massacrante strofa nella quale torna il poderoso e risolutivo growl, impegnato a sentenziare la fine di un’apocalisse preannunciata. In chiusura la seconda parte della title track, una perfetta divagazione ambient dove l’elettronica torna dominante dando vita a paesaggi galattici di sublime bellezza. I Monolithe hanno superato se stessi, hanno creato un maledetto capolavoro di decadenza assoluta nel quale la morte terrena e la dispersione cosmica vanno a braccetto, convivono, trovano unione, generano progenie, rafforzando l’esaltazione di una fine quasi divina, verso l’assoluta oscurità eterna.

(Luca Zakk) Voto: 10/10