(Go Down Records) Album composto durante un tempo molto lungo più facilmente misurabile in 48 lune, da questo power trio strumentale italiano, il quale si lascia andare a riff seducenti, improvvisando viaggi cosmici, divagazioni ritmiche, spontanee, decisamente stoner, irresistibilmente psichedeliche. Nove brani, nove assalti frontali, nove seduzioni mentali, nove provocazioni, nove sorgenti di estasi, nove generatori di vibrazioni alle quali è impossibile resistere. È acida “Lost In the Fog”, ed inoltre ti acceca, ti disorienta. “#5” è una tuonante divagazione della divagazione, mentre “Lunar Seal” è un’alterazione mentale troppo astratta per essere capita da una mente normale. “Cemetery Of Good Intentions” è tanto romantica quanto lancinante, si rivela rocambolesco l’incedere di “Nicoletta the Harlot”, stoner esaltante capace di trascinarti dentro le sue voragini fluorescenti con la lunga e poderosa “Polish Brick”. Corre a tutta velocità con gli occhi bendati “Too High To See the Coast”, si torna a casa… alle origini di tutto, alle basi, al manuale d’uso del rock con il blues elettrico di “Despotic Bitch’s Blues”, prima della conclusiva “Closure”, praticamente l’esposizione dell’ascoltatore ad un plotone d’esecuzione armato di volumi, di riff, di raggi fotonici sparati da automi fuori controllo costruiti con amplificatori in fiamme. Stoner rock, rock psichedelico, desert rock, una spruzzata di space rock: tutta roba per amplificatori a valvole i quali emettono onde sonore ipnotiche ma, potenti e pesanti come macigni, anche se surreali ed eteree come trip allucinogeni. Niente voce e niente testi: sarebbero una componente di disturbo, disorienterebbero e farebbero sbagliare strada nell’infinito cammino verso ogni intima e personale destinazione cosmica.

(Luca Zakk) Voto: 9/10