(Nuclear Blast/Audioglobe) La carriera dei Threshold è lunga e ricca di soddisfazioni: i nostri superano indenni anche la morte del dotato singer Andrew “Mac” McDermott e si ripresentano sul mercato con un altro masterpiece. Dietro al microfono troviamo adesso Damian Wilson, che aveva già cantato per la band su due dischi di metà anni novanta (“Wounded Land”, il debut del ’93, e “Extinct Instinct” del ’97) e che mette la propria timbrica cristallina al servizio di queste dieci ariose composizioni. “Ashes” apre il disco nel segno di una melodia limpida, con una equa compresenza di chitarre e keyboards. Un motivo del medesimo tipo troviamo, più avanti in scaletta, in “The Hours”, a testimonianza che il prog metal non significa necessariamente (o non solo) partiture impazzite in cui i singoli strumentisti fanno gara di velocità e bravura. Il sound dei Threshold è sempre equilibrato ed è questo, credo, il principale motivo che ne ha decretato il successo. Più serrata e ritmata “Return of the Thought Police”, mentre “Liberty Complaency Dependency” si sviluppa su una progressione più scopertamente metal. “Colophon” mette ancor di più in evidenza la sezione ritmica (bellissimo il basso di Steve Anderson) ed ha una costruzione quasi ansiosa, incessante, incalzante. La power ballad risponde al nome di “That’s why we came”: si parte su toni acustici e si finisce, oserei dire, su suoni hard rock fine anni ’90. Della scaletta non apprezzo particolarmente soltanto “Coda” e il suo andamento stoppato e vagamente nu: superbi, invece, i dieci minuti della conclusiva “Rubicon”, che ha un appeal epico e in alcuni tratti solenne. Erano cinque anni che aspettavamo un disco in studio e sicuramente possiamo dichiararci soddisfatti. La versione digipack ha una bonus track; disponibile anche in doppio vinile.

(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10