(Logic(il)logic Records) Compratevi questo CD e sparatelo a palla nello stereo. Voi ed i vostri vicini (che gli vada o meno), sballerete al sound devastante degli Italiani Twintera. La recensione è finita. Non ho altro da dire.
Ok. Forse è l’ultima delle mie recensioni. Ora mi cacciano.
Mi arrendo: per puro rispetto dei grandiosi personaggi che stanno dietro alla label che pubblica questa esplosiva band, e per il rispetto che porto a voi fedeli lettori (che buttate il vostro tempo leggendo i miei deliri) cercherò di scrivere qualcosa di vagamente sensato. A volte, mi viene facile descrivere le emozioni. Il problema inizia quando non riesco a capire quali siano queste emozioni. Non le capisco perché questo “Lines” è una valanga di un po’ di tutto. E’ hard rock, è glam anni ’80. Forse è un po’ thrash. E’ classico. E’ innovativo. Melodico, virtuoso, diretto, semplice, complesso. Confusi? Io ve lo avevo detto che la recensione era finita… I Twintera sono una creatura geniale. Questa è forse l’unica cosa che conta. A chi possono piacere? A chi ascolta del buon heavy metal. A chi ascolta hard rock. A chi ascolta power, progressive, thrash. Si, perché i Twintera suonano di tutto, tranne, forse, i generi più estremi ed oscuri della scena. Quindi, visto che non so dirvi cosa suonano, vi posso sicuramente dire cosa non suonano. I Twintera non fanno Black Metal, e nemmeno Gothic Metal e derivati. Non hanno nemmeno più un tastierista! Per il resto? Tornate all’inizio della recensione: Compratevi questo CD. Probabilmente state immaginando una band di sfigati, visto che poi sono italiani e non scandinavi, tedeschi o anglosassoni, che fanno una manciata di canzoni incompatibili tra loro. Sbagliato. Siete fuori strada, anzi, siete già caduti nel fosso. La verità è che lo stile dei Twintera è impossibile da descrivere usando definizioni standardizzate. Oserei dire che i Twintera suonano qualcosa che potrebbe essere definito Twintera Sound. Originali. Brutalmente sballati, deviati, innovativi, creativi, folli, e dannatamente coerenti. Sono musicisti di prim’ordine. Le chitarre sono suonate in modo stupendo, e cacciano assoli stupendi (progressive e power, appunto). Il basso propone linee calde ed emotive, sempre presenti, sempre capaci di sostenere un dinamismo sonoro accattivante. E poi c’è la voce. Fabio è praticamente Vince Neil che ha imparato a cantare. Ed anche molto bene! Il suo timbro vocale mi ricorda appunto il frontman dei Mötley Crüe (hard rock, glam anni ’80, appunto), solo che Fabio è avanti un milione di miglia, le sue capacità sono eccellenti, tanto che, a mio parere, demolisce Tom S. Englund degli Evergrey,  guest singer su questo album (presente sulla bellissima “Oversight”). Con pezzi come “Cool 18” sembra quasi che la band prenda una direzione southern boogie, con un sound grintoso, un heavy blues graffiante. C’è la cover dei Survivor “Burning Heart”, la quale sembra essere stata presa di mira dai pugni di Rocky, tanto è diventata aggressiva, lontana dal pop rock dell’originale. “Where We Land”, con il suo riff pesante, cadenzato, un crossover musicale, un’ipotesi di thrash, devastante, potente. “On The Edge of…” ha un groove malvagio, irresistibile, e quei cori che gridano le danno un’ulteriore impronta cattiva, aggressiva. Un pezzo stupendo! “Bunch of Motherfuckers” è il pezzo conclusivo: contorto, melodico, assoli stupendi, elementi progressivi. Una conclusione epica per un album mitico. Una band con un debutto di questo peso non la sentivo da anni. Da decenni. E per completare il cerchio, anche il loro moniker mi risulta incomprensibile. Ma questo è materiale per interviste. Per ora questa cosa rende tutto ancora più originale ed irresistibile.

(Luca Zakk) Voto: 9/10