(Neurot Recordings) Eloquente il titolo di questo nuovo album degli Ufomammut, una band che non è mai morta ma che si è convinta fosse ormai giunto il momento di rigenerarsi. Album dopo album il power trio si è incamminato su percorsi sempre più articolati, meno spontanei e per stessa ammissione di Urlo, basso e voce, la band ha finito con il ripetersi. È il momento di ripartire, magari da zero o quasi. Un nuovo batterista, Alessandro Levrero, un sound come sempre possente e contornato, a tratti posseduto, da un’elettronica che delinea atmosfere cosmiche ed echi che sembrano giungere da profondità siderali. “Fenice” è la rinascita dalle ceneri cosmiche, dove cavalcate andanti ma solitamente massicce esalano dimensioni psichedeliche avvolte da mantra spaziali ignoti. Il sorgere dell’opener “Duat”, lo scivolare nella successiva “Kepherer” e la sua sparizione verso un orizzonte ignoto, sono dettati da considerevoli flussi space rock e space ambient. L’elettronica, i venti spaziali in stile Hawkwind o krautrock emergono in tutto il loro mistero in “Psychostasia”. L’album prevede un connubio ritmico nel quale il nuovo arrivato si rivela infaticabile ed anche con tocchi elaborati, amalgamandosi con il basso sovrano di Urlo, nonché con la chitarra di Poia che spazia in fatto di stile e puntella sia toni doom che sludge. I due sono i responsabili dei sintetizzatori che plasmano questi scenari stranianti o maestosamente avvolti dallo spazio. Il mantra, per il suo incedere, di “Metamorphoenix”, l’apocalittica “Pyramind”e la successiva e tempestosa “Empyros” a loro modo restituiscono una band dalla matrice sonora più classica. Toni più selvaggi e possenti e meno visionari in questi due ultimi pezzi. “Fenice” è forgiato con suoni gonfi di potenza, di carattere, con il derivante flusso sonoro che ribolle docilmente. Il mito di Ufomammut, un essere ormai mitologico che si arricchisce con una nuova era.

(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10