(Ván Records) Difficile non lasciarsi coinvolgere dagli Urfaust. Il duo olandese non è mai stato un gruppo dalla facile assimilazione, tanto che i detrattori che accusano il combo di inconsistenza sono tanto numerosi quanto gli accoliti che li declamano a maestri interpreti del black ambient. Diciamo che io sto distaccatamente nel mezzo e sono pronto a dire, ascoltato questo lavoro, che finalmente dopo tanti tentativi gli Urfaust hanno sfondato il muro della monotonia per entrare in un nuovo mondo, il loro. Unici interpreti di uno spazio cosmico alternativo dove le sensazioni negative diventano una nuova dimensione e la disperazione potrebbe avere forma fisica. La prima traccia inganna, sembra portare l’ascoltatore in una sorta di sogno metafisico… Invece ci si sveglia subito con l’inizio della seconda traccia, un black epico e tirato, molto cadenzato e straziante nella voce. Ma veramente epico e astrale. Quasi simile agli Arcturus più estremi degli esordi. Tutto l’album è un alternarsi di parti vocali pulite, cori ancestrali e rituali e cantato in growl stridente, la musica pure: tracce tirate si alternano a momenti puramente ambient per un lavoro che sembra voler essere la summa di quello che gli Urfaust sono oggi nel 2016. Poliedrici.

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 8,5/10