Sul mio nutrito scaffale di vinili, sotto la lettera M, ci sono ovviamente tutti gli album dei Morbid Angel, a partire dal primo travolgente “Altars of Madness”, un disco che vanta ancora oggi una copertina allucinante, la quale ogni volta mi regala le stesse emozioni di quando scovai la release al negozio di dischi, mentre ero alla spasmodica ricerca di qualcosa che rappresentasse un ulteriore passo in avanti verso l’estremo.

All’epoca, alla fine degli anni ’80, c’era il thrash, c’era il death, la simbologia occulta dilagava, c’era già la prima ondata del black… tanto che sul inner sleeve di “Altars of Madness” i Morbid Angel, dopo i ringraziamenti, scrivevano: ‘questo album è dedicato all’Underground e a tutti i fans di speed, death e black metal provenienti da ogni parte’.

Il black metal! Certo! Ma al tempo eravamo molto lontani dal black secondo il punto di vista attuale, c’era ‘solo’ un thrash/speed con tematiche più palesemente anti religiose. Ad un certo punto, dal mucchio che vedeva bands quali Death, Obituary o Possessed, salta fuori qualcosa di più tenebroso, più estremo, più demoniaco, ovvero proprio quel capolavoro intitolato “Altars of Madness”.

È sufficiente “Immortal Rites”, la prima traccia, per rendersi conto che quel passo avanti verso l’estremo -quello che anch’io cercavo- era stato fatto, spostando l’asticella molto più oltre creando delle basi senza le quali la maggior parte degli attori della seconda ondata del black metal, forse, avrebbero intrapreso una diversa carriera lavorando in un peschereccio norvegese, senza assolutamente arrivare dove sono (o sono stati): semplicemente queste bands non esisterebbero senza pietre miliari come “Altars of Madness”.

I Morbid Angel erano iconici: furono la prima death metal band a raggiungere un successo mainstream, a comparire su MTV (hey, in quegli anni la ‘M’ stava per ‘Musica’!), cosa notevole all’epoca. Poi c’era quel loro look paragonabile a quello dell’hair metal… ma in versione veramente satanica, cosa di mostruoso impatto per noi ragazzotti provinciali imprigionati in un paese dove tutt’ora il tizio con i capelli lunghi o il tatuaggio continua ad essere regolarmente additato.

Dopo quei primi favolosi dischi, i Morbid Angel iniziarono quel percorso di fuoriuscite e rientri di componenti, il susseguirsi di Steve Tucker/David Vincent, l’allontanamento di Brunelle (poi deceduto nel 2019) e poi l’addio per motivi spirituali di Pete Sandoval, tanto che dei Morbid Angel storici, oggi è rimasto solo Trey Azagthoth.

Ma qualche anno fa, un bel giorno, Mr. David Vincent si mette in testa di creare una cover band proprio dei Morbid Angel, concentrandosi solo sugli album e brani che lui può usare con diritto: quelli fino a “Domination”. Agli inizi entra in gioco un ex drummer della band, Tim Yeung, ma più recentemente è il leggendario Pete ‘Commando’ Sandoval a sedersi dietro le pelli, rendendo la cover band I Am Morbid quasi più pura ed originale della band principale capitanata da Azagthoth!

E in questo ritorno ai concerti post-pandemico il MORBIDFEST non tarda ad invadere l’Europa: gli I AM MORBID celebrano il 30° anniversario di “Blessed Are The Sick” e si fanno supportare da colossi come gli austriaci Belphegor, i polacchi Hate, oltre a varie band più o meno locali.

Arriva così il 22 aprile, l’ultima tappa italiana, anche ultima tappa del tour, un evento caldo purtroppo parzialmente funestato da improvvisi cambi di orario dettati dai vari management, cosa che mi ha fatto perdere gli opener francesi Lecks inc… gli Hate… garantendomi l’accesso solo quando i micidiali Belphegor stavano già mietendo vittime.

Vittime? Un bagno di sangue! Diamine: ho visto la band austriaca solo cinque mesi fa (report qui) ed in quell’occasione scrissi che ‘i Belphegor di oggi hanno quel qualcosa in più, quella strana addizionale appartenenza agli inferi capace di rendere l’intero spettacolo un sublime rituale anti cristiano’. Ma i Belphegor del 22 aprile 2022 mostrano di aver fatto un altro passo avanti, scatenando una potenza sonora devastante, una impressionante e libertina gestione del palco, una comunicazione con il pubblico superlativa. Una band in perfetta sincronia, un solenne tripudio nel nome delle forze più oscure, anche grazie alla perla “Virtus Asinaria – Prayer”, stupendo brano inedito che comparirà nel prossimo album “The Devils”, atteso per il prossimo giugno.

Gli I AM MORBID, aprono con una suggestiva versione di “Immortal Rites”, incentrata sulla voce meno growl e molto più baritonale di David, il quale si spinge a favolose evoluzioni corali che emulano i riff taglienti del brano originale.

Anche gli I AM MORBID si rivelano una band in massima forma, con i chitarristi -Kelly Mclauchlin (Pessimist) e l’esplosivo Bill Hudson (NorthTale, Doro, ecc)- scatenati all’ennesima potenza, un Pete Sandoval distruttivo e un David che domina la scena, che intrattiene, anche quando viene travolto da uno spontaneo coro del pubblico che intona gli auguri per il suo 57° compleanno, proprio nel giorno dell’ultima data di un tour che festeggia il 30° anno di un disco indubbiamente iconico.

Un David Vincent che comunica, che connette, sempre schietto (come lo è nel suo libro), che non si censura nemmeno quando introduce “Eyes to See, Ears to Hear”, dichiarando che le bugie e le falsità che ci sono state imposte negli ultimi due anni non devono mai più succedere… cosa possibile solo se ognuno di noi guarda ai fatti reali con i propri occhi, ascoltando con le proprie orecchie, ignorando ciò che viene diffuso per controllare le masse.

Una serata esaltante, una serata di quelle che lasciano il segno, dal concerto al post concerto visto che i due headliners erano pronti ad accogliere i fans, anche dopo le intense performance, senza fretta, per scambiare due parole, fare qualche foto o firmare autografi.

Forse, dopo due anni di stronzate, il concerto che mi ha finalmente riportato al piacere della notte live, della gente della quali ignori le generalità ma con la quale inizi a chiacchierare solo perché indossi la felpa della stessa band (in questo caso i 1349!). Il piacere del suono esplosivo, delle luci isteriche, del viaggio e del ritorno a notte inoltrata.

Decisamente il concerto che mi ha riportato al dove eravamo rimasti prima delle bugie, prima della mascherine, prima dei pass, delle limitazioni, delle prigionie, prima di questo immenso mare di casini gestiti male e con infinita confusione.

Il punto di ritorno. Il nuovo punto di inizio… con David che mi autografa la sua autobiografia anti convenzionale e Pete Sandoval che mi dona una delle bacchette martoriate dal suo drumming estremo.

(Luca Zakk)

La setlist dei Belphegor