(Real World Records). Questa non è una recensione di un disco ma piuttosto una sua “narrazione”. Mr Gabriel ha pubblicato un disco importante. Lo ha fatto rilasciando un brano a ogni luna piena iniziando a gennaio 2023. Per ogni brano ci sono versioni leggermente differenti: “Bright-Side Mix”, “Dark-Side Mix”, “In-Side Mix”, demo, ecc.  Testi connettivi tra l’umana essenza e la complessità di un futuro giàpresente. Testi interconnettivi tra la materia, le molecole, gli atomi, le particelle terrestri e cosmiche. Lo ha fatto in modo lucido e centrato, senza chiamare in causa divinità o profezie, stati di illuminazione o ascetismi spirituali. Sarebbe stato troppo semplice, è andato oltre. Ha scritto senza esprimere giudizi, paternalismi, nostalgia, pareri, porsi domande o fornire risposte. Sta solo osservando, con curiosità, esplorando e lasciandosi fluire nel complesso esistere umano di oggi, cosi come dovrebbe fare un uomo maturo che si avvicina alla fine della vita in pace ed equilibrio con sé stesso. Certo è più facile arrivare a questo stato con milioni di euro in banca, vivendo in varie residenze da favola tra Arzachena in Sardegna e le colline incantate di Box, vicino Bath.
Riguardo le musiche, pur non brillando di particolare originalità, gli arrangiamenti sono ricercati, raffinati e intelligenti. I collaboratori sono quelli storici, la stessa brigata: Tony Levin al basso, Manu Katché alla batteria e David Rhodes alle chitarre, con lui ormai da 40/45 anni. Altri fedelissimi coinvolti sono Brian Eno, Ged Linch alle percussioni, la figlia Melanie ai cori, il nostro Paolo Fresu in una delle canzoni più intense del disco, “Live and let Live”, e tanti altri.  Si sentono chiaramente i suoni predominanti della Korg Kronos aleggiare spesso. La sonorità del disco è fresca, pulita, vivace, suona potente, vigoroso, profondo ma leggero allo stesso tempo, meno cupo del precedente “Up” e a mio parere molto più ispirato (e meno male, dopo 20 anni!). La copertina non mi piace, rispetto alla complessità e alla ricchezza del contenuto del disco si poteva fare di meglio.
“I/O” non deve essere considerato solo come un disco di canzoni, si tratta di come un progetto molto ampio, aperto, multidimensionale, in cui entrano in campo non solo musicisti e produttori ma anche le fasi lunari, lo stare nello scorrere del tempo (ci è voluto quasi un anno per completare le uscite e questo trasuda un po’ dappertutto nei testi), artisti pittorici, grafici, scienziati e ricercatori delle nuove tecnologie, attivisti in ambito legale, ambientale o sociale, imprenditori del campo dell’eco-sostenibilità, tutto messo dentro non a casaccio ma coerentemente alla narrazione dei testi e alle esperienze acquisite e condivise dall’autore nel corso dei decenni. Gabriel infatti ha co-fondato, appartiene o sostiene numerose associazioni che si occupano di studiare, esplorare, tentare di migliorare la tecnologia, la sostenibilità ambientale, la comunicazione planetaria, la pace, la giustizia, ecc. Ne riporto alcune, ma sono davvero tante: 

–       Centro per la sicurezza AI

–       Supporto legale per le ingiustizie sociali

–       Studi sulla comunicazione interspecie

–       Gli Elders (vecchi saggi)

 

Per ogni brano riporto una breve descrizione e porzione di testo, ovviamente suggerisco di ascoltare il disco durante la lettura, le differenze tra i 2 mix principali, Bright e Dark, sono davvero minime, l’Inside Mix è un po’ diverso.

1-     “Panopticom”, la comunicazione globale come controllo sugli individui, ma anche il contrario, gli individui che grazie alla comunicazione globale interconnessa possono gestire chi comanda. Dice Gabriel: “Stiamo iniziando, a mettere in contatto un gruppo di persone che la pensano allo stesso modo e che potrebbero essere in grado di dare vita a questo progetto di interconnessione della conoscenza globale: permettere al mondo di vedere meglio sé stesso e di comprendere meglio ciò che sta realmente accadendo”. Secondo il suo ideatore potrebbe essere “una gigantesca biblioteca vivente di esperienze umane e planetarie”. Le informazioni già disponibili in tutto il mondo possono così diventare liberamente accessibili e utilizzabili. Questa visione si basa sul lavoro delle organizzazioni “Forensic Architecture”, “Bellingcat” e “WITNESS , che Gabriel ha co-fondato. Il brano è accompagnato dall’opera “Red Gravity” dell’artista canadese-britannico David Spriggs.

“E i telefoni fanno foto mentre fa caldo, scopriamo cosa sta succedendo, vediamo dove portano gli indizi, raggiungiamo tutto il mondo, abbiamo tutte le informazioni che fluiscono, vedi attraverso le barriere, possiamo vedere attraverso tutte quelle bugie”.

2-    “The Court”, legge e giustizia, che spesso non funzionano o vengono dirottate. Gabriel: “La giustizia o il sistema legale è qualcosa che viene imposto per cercare di portare qualche elemento di ordine nel caos. Se ne abusa spesso, spesso è ingiusto e discriminatorio ma allo stesso tempo è probabilmente una parte essenziale di una società civile”. Il brano è accompagnato da una foto dell’installazione rituale “Lifting the Curse” dell’artista Tim Shaw.

“Posso fare la voce della legge, al mercato, tutte le nostre vite sono in vendita, ho convinto il pezzo grosso dell’avvocato a perorare la mia causa, i tuoi ricordi sul cellulare, abbiamo perso il confine tra il bene e il male, abbiamo perso il confine tra il sano e il pazzo”.

3-    “Playing for Time”, ecco il tempo che passa, la canzone parla di mortalità e dell’idea che “ognuno di noi ha un pianeta pieno di ricordi che vengono nascosti in diverse aree del cervello”. La vita è un battito di ciglia.  Anche questa canzone è legata a un progetto scientifico-sociale: “Long Now Fondation”, mira a promuovere la riflessione a lungo termine necessaria per comprendere e affrontare i problemi globali. Il brano è accompagnato da un’opera dell’artista francese Annette Messager intitolata “Mes voeux (avec nos cheveux)” [“I miei auguri (con i nostri capelli)”,  ndr].

“I ricordi vanno e vengono, sali verso la nebbia del tempo, è tutto qui quello che abbiamo passato, è il tempo che indossa la corona, e il tempo che suona il campanello”.

4-    “I/O”, “l’interconnessione di tutto, non siamo delle isole indipendenti, come ci piace pensare di essere, ma siamo parte di un tutto”. Siamo tutti connessi, tutto e tutti creati da atomi e biochimica. Per crescere, il materiale viene immesso in noi (In) e ne esce di nuovo (Out). Uno scambio cosmico. E quando alla fine moriamo, gli atomi restano lì e diventano qualcos’altro (come una quercia, cibo per altri esseri viventi, molecole dell’acqua, fotoni di luce). Il brano si snoda abbastanza tranquillo, esprime il concetto generale del disco, fino a sfociare in un vivace e potente 7/8 nel ritornello. Finisce come inizia, forse la resa di questo brano poteva essere ancora più esplosiva e significativa. L’artwork questa volta si chiama “Color Experiment no. 114” di Olafur Eliasson, danese.

“Sto su due gambe e imparo a cantare, cammino con il mio cane e fischietto con un uccellino, roba che esce, roba che entra, sono solo una parte di tutto, tutti apparteniamo a tutto, alle ventose del polpo e all’ala della poiana, alla proboscide dell’elefante e al pungiglione dell’ape ronzante, quando il respiro affannoso è finito e il calore si è esaurito, l’amore scorrerà, non ho dubbi, con il veicolo in folle e il terreno da affrontare, sarò tutto sepolto al mio posto, nelle radici della vecchia quercia, dove la vita può muoversi liberamente dentro e fuori di me”.

5-    “Four Kind of Horses”, parabola buddista su quattro varietà di cavalli. Descrive i diversi modi in cui un novizio può avvicinarsi alla pratica spirituale. PG ne descrive un quinto, quello che spinge chi è convinto di essere diverso e fare cose speciali, spesso sconfinando in fanatismi religiosi o ideologici estremi. Il testo è molto criptico. L’opera d’arte questa volta è una stampa fotografica, s’intitola “Snap” realizzata dall’artista britannica Cornelia Parker.

“Quattro tipi di cavalli, quattro tipi di uomini, ah, tu dici di essere qualcosa di diverso, ma fai tutto di nuovo, la tua mente è così sicura di ciò che è giusto, oh, madre illusione con la tua giacca di fiamme, la tua faccia è ovunque, un’ombra di fama così oscura e oscura, sentiamo la vibrazione, lo stiamo tutti tenendo premuto, sentiamo la vibrazione, sta uscendo dal terreno”.

6-    “Road to Joy”, riguarda le potenzialità e i misteri del cervello umano. Si occupa di esperienze di pre-morte, risveglio dal coma e situazioni estreme in cui le persone non possono comunicare o muoversi. Ci sono stati libri, studi, film e canzoni (ad es. “One” dei Metallica) su questa tematica, in questo caso però finisce bene, il protagonista si sveglia. E’ un testo sul ritorno ai sensi, alla vita, al mondo. Sembra un brano allegro, in realtà è ottimista, un ottimismo che permea tutto il disco. L’immagine che lo accompagna si intitola “Middle Finger In Pink” di Ai Weiwei.

“Sono passati così tanti giorni, sono stato trattenuto dentro questo corpo, di nuovo nel mondo , risvegliando la strada verso la gioia, puoi svegliare ogni parte di me, fai scorrere il sangue in ogni angolo e fessura, fai scorrere il sangue dalla mia testa alle dita dei piedi, fai scorrere il sangue che scorre tutto intorno a me, fai scorrere il sangue con la vita nella mia anima, la mente rivela l’universo. si apre”.

7-    “So Much”, la vecchiaia, lo scorrere del tempo, gli errori commessi e le scelte fatte nella vita. Avviciniamoci alla morte anche se fa paura, evitarla è peggio, siamo esseri mortali, il tempo ci consuma. L’artista è Henry Hudson, di Bath (vicino di casa di Gabriel), il suo dipinto si intitola “Somewhere over Mercia”.

“Il tempo scivola nello specchio, da vecchio, sono nato, e sono cresciuto fino a diventare un bambino, bruciato come un fulmine, tutto sparito in un lampo, c’è così tanto per cui vivere, tanto resta da dare, il corpo si irrigidisce, si stanca e si fa più debole, nella sua pelle rugosa e sbiancata, ogni decennio che passa, ti nascondi sempre più, dagli occhi del bambino che hai dentro, ora chiudi gli occhi un istante, guarda in basso e guarda in alto, tutto il calore dentro te, viene da chi ami”.

8-    “Olive Tree”, la terza via rispetto alla distopia e all’utopia: adattamento flessibile. Adattarsi ad AI, all’idiocracy irreversibile generale, ai cambiamenti climatici, all’inquinamento globale, alla morte del mondo occidentale, ai totalitarismi incombenti. È difficile ma necessario. È una canzone di apertura, un Gabriel che si proietta in modo plastico alla complessità del mondo, alle potenzialità di AI e di VR, al futuro e ancora una volta all’interconnessione con il tutto: pensiero, natura, molecole, atomi, universo. Dice: “Presto sarà possibile convertire i pensieri del cervello in immagini e video. Questo può essere fatto con l’aiuto di un elmetto con elettrodi che rileva l’attività cerebrale. Le cose private possono quindi diventare accessibili e leggibili, allora non saremo più isole solitarie, ma aperte e connesse”. Per molti ciò è agghiacciante, per un uomo di 74 anni invece ha potenzialità positive inimmaginabili, ci dobbiamo adattare, le cose andranno così. L’immagine del brano si chiama “Chroniques Avec La Nature” dell’artista camerunese Barthélémy Toguo.

“La nuova vita trova uno spiraglio, e niente fermerà questo momento, ma qui in questo casco posso leggere le altre menti, e scansionare tutti i pensieri, tutto il succo che riesco a trovare, il cambiamento arriva presto, ho la luce del sole che risplende sulla mia schiena, riscalda tutte le mie ossa, ho la brezza fresca proprio sulla mia pelle, dare vita a ogni cellula, dare vita a tutte le connessioni, cerco di dare un senso, dove sto andando ora, come si adatta, nella forma più grande delle cose, l’acqua scende su di me, è il risveglio del mondo, l’acqua scende su di noi, scende dalla testa”.

9-    “Love Can Heal”, una canzone semplicissima, quasi banale, patetica per alcuni nel testo, ma racconta una scontata verità: “l’amore può guarire”. Può essere la carezza di un genitore, la pacca sulla spalla di un amico, l’affetto di un partner, l’abbraccio di un figlio, Interstellar insegna, puro e semplice. Siamo mammiferi, non rettili, guidati biologicamente fin da prima della nascita dal sistema motivazionale dell’attaccamento, abbiamo bisogno di cure, affetto e coccole, non solo di cibo, soldi, potere e libertà. Questo vale per tutta la vita, il sistema di attaccamento non scompare, funzioniamo così. I delicati inserti di synth arpeggiato, violoncello e la voce nel registro alto di Gabriel lo sottolineano in modo quasi sussurrato, come un mantra. Anche qui aleggia il leit motiv di interconnessione tra il dentro di noi (In) e la natura esterna (Out) e la tematica delle esperienze fuori dal corpo “Out of body experience (OOBE)”, tematica affrontata spesso da Gabriel nei suoi testi e studiato da anni, in particolare dall’Università di Friburgo e dal PEAR Lab (Princeton Engineering Anomalous Research) di Princeton. L’opera che accompagna il brano si intitola “A Small Painting Of What I Think Love Is” del britannico Antony Micallef.

“Qualunque sia il pasticcio in cui ti sei trovato, indipendentemente da come ci sei arrivato, l’amore può guarire, c’è qualcosa che esce da te, il tuo corpo e la tua pelle, puoi percepirlo, per un momento, alzo la testa, posso respirare l’aria, fuori alla luce del sole, in tutti i colori, sullo sfondo di un letto di verde, un letto di verde, l’amore può guarire, arrenditi all’amore”.

10-  “This Is Home”, brano che scivola tranquillo, in perfetto stile Gabriel sia nella composizione, nell’arrangiamento, nei testi e nel cantato. Tutto molto semplice. Potrebbe essere considerato un brano riempitivo, suona molto live. La “casa” a cui si riferisce nel testo potrebbe essere un luogo reale (perché no, la sua tenuta principesca in Sardegna), la sua tanto decantata Madre Terra, anche qui, il senso di appartenenza al tutto, semplicemente la sua famiglia e i suoi affetti, ma più probabilmente uno stato mentale interno di pace, equilibrio, centratura e imperturbabilità. Questa volta l’opera d’arte associata alla canzone è una scultura dello spagnolo David Moreno, si intitola: “Conexión De Catedral II”.

“Ho guardato nel cielo più profondo, ho trovato quello che mi avevi mostrato, qui accanto al mare agitato, una calma è scesa su di me, perché lo so, questa è casa, casa è dove ho bisogno di essere, lo so, tu sei la mia casa”.

11-  “And Still”, è uno dei brani più intensi e migliori di questo disco e senza dubbio il più intimo e personale. Nel 2000 Gabriel pubblicò una toccante canzone dedicata al padre, così emozionante che chiunque abbia avuto un rapporto sufficientemente buono con il proprio padre non può non emozionarsi nell’ascoltarla o cantarla: “Father, Son”. Cosa strana è che il padre era ancora vivo e stava benissimo, scomparve infatti 12 anni dopo. Quindi ha scritto un brano dedicato al padre almeno 12 anni prima della di lui morte, quando poi è mancata la madre nel 2016, gli ci è voluto molto più tempo per elaborarne il lutto e tirarci fuori qualcosa. “And Still”: la connessione qui è con la presenza/assenza della madre, “I/O”, lei c’è anche se non c’è. È morta, ma è “ancora ferma” in ogni luogo fisico, nella memoria, nei sensi e nelle emozioni, il testo lo narra chiaramente. La musica è delicata, viva, la madre si presentifica in musica in uno struggente assolo di violoncello. La morte si connette con la vita e con il tutto, come parte sostanziale della vita. Ciò che sconcerta è la serenità di fondo che pervade la canzone nonostante traspaia un dolore forse irrisolvibile fatto di emozioni calde che l’autore sorbisce con consapevolezza, trasporto e lucidità. L’assolo di violoncello è un incontro tra il dolore sereno di Gabriel e l’amore, “still”, tradotto come “ancóra” e come “immobile, eterno”, della madre. Quando il violoncello modula in tonalità maggiore tutto si risolve, rimangono i fantasmi che sussurrano memorie e ricordi lontani, ma quelli non se andranno mai. Il lutto di Gabriel, ma di tutti noi quando muore un caro, è per il defunto? O è per noi stessi che abbiamo perso un pezzo della nostra vita, del nostro tempo, dei nostri ricordi e siamo richiamati alla realtà della vita/morte? Il dipinto allegato è della canadese Megan Rooney e si intitola “And Still (Time)”.

“Tutto è andato via, appoggio la testa sulla tua pelle, come facevo da ragazzo, e ancora le tue mani sono fredde, quelle mani che mi sfioravano i capelli, ti sento ovunque, e ti porterò dentro di me, in ogni posto in cui sarò, vago per la casa in cui vivevamo, armadi pieni di cappotti e cappelli, la tua presenza ovunque, e in ogni angolo, si formano ricordi, ci scaldavi come il sole, e ogni mattina eri lì, ora te ne sei andata, mi scaldavi come il sole”.

“Nella tua pancia, con il tuo cibo, e il tuo amore per la famiglia e gli amici, connettendo tutti e tutti, e il tuo spirito troverebbe il suo posto, la sua casa, il suo volto nella musica, e ti porterò dentro di me, in ogni posto dove potrò essere, in ogni posto in cui scelgo di andare, ti porto dentro di me”.

12-   “Live And Let Live”, siamo giunti alla fine di questo viaggio, questo brano è l’esito risolutivo di tutto il racconto che ci ha narrato Gabriel lungo il disco. Il cerchio si chiude. C’è speranza, come in tutto il disco, qui in particolare PG invita a lasciare dietro le ferite, le umiliazioni, decidere di smettere di appartenere al quel dolore, di vestirlo ancora e trovare il coraggio di perdonare liberandosi. Dopo 27 anni di prigione per Mandela era difficile lavorare con le persone che lo avevano rinchiuso. Ma capì che sarebbe rimasto loro prigioniero per il resto dei suoi giorni se non fosse riuscito a liberarsi e perdonare. Lo stesso Gabriel riconosce che proprio in questi tempi miserabili sarebbe patetico “andare in giro con un mazzo fiori predicando il perdono”, eppure è quello che fa, forse ha ragione, alla lunga è quello che funziona, perdonare fa stare meglio, sia mentalmente sia spiritualmente. Solo nella pace e nella serenità interiore l’interconnessione con gli altri e con il Tutto che ha “predicato” in tutto il disco può riuscire. Nel testo vengono citati: William Blake, tre Nobel per la pace: Martin Luther King, Desmond Tutu e Mandela (Madiba) e gli “Elders”, la fondazione creata da Mandela nel 2007 di cui anche Gabriel fa parte. Si tratta di persone globali indipendenti che lavorano per la pace, la giustizia, i diritti umani e un pianeta sostenibile. Ricordiamo il nostro Paolo Fresu alla tromba in questo brano. L’ultima opera è una scultura/abito di Nick Cave (omonimo), il nome è “Soundsuit”. 

“Quanto deve fare male prima di lasciare andare il dolore? Prima di desiderare di essere di nuovo libero? Ogni ferita può rinchiuderti, questo è ciò che facciamo, questo è ciò che siamo, quando perdoniamo possiamo andare avanti, apparteniamo al fardello finché non se ne va, per quanto tempo vuoi odiare, con tutta questa rabbia da bruciare? sogni di vendetta, deponi il peso, deponi le armi, ci vuole coraggio per iniziare a perdonare, per essere abbastanza coraggiosi per ascoltare, per vivere e lasciar vivere, lasciar vivere”.


Gabriel è tornato, dopo 2 decenni, e questo ha tutta l’aria di essere il suo saluto finale, poi chissà. La domanda che molti si fanno spesso è: ma che ha fatto Gabriel per 20 anni? Semplice: i fatti suoi. Si è goduto l’ultimo figlio e la sua crescita (nato nel 2001), ha scritto molte canzoni uscite come singoli, si è occupato della sua casa di produzione e dei suoi studi di registrazione (Real World Studios), ha realizzato vari dischi di “cover” (a mio parere non riusciti) e “live”, si è dedicato a tutte le fondazioni/associazioni di cui fa parte, ha esplorato la Korg Kronos tirandone fuori le potenzialità al massimo (e credetemi non è facile), ha fatto vari tour mondiali, ha realizzato questo disco e aiutato la moglie a guarire da una forma di cancro molto aggressiva, insomma non è stato proprio con le mani in mano come molti pensano.

(Vito Lupo)

Fonti:

–  Genesis-News.com

–  vari post dedicati al disco sulla pagina Facebook QUI