(Harvest Of Death / Signal Rex) È ascoltando uscite discografiche di questo tipo che mi rendo conto sempre di più che il black metal è proprio un mondo a parte. Un universo nell’universo insomma, dove la musica può assumere forme anche opposte tra loro. Si prendano ad esempio i Dimmu Borgir: assoluti nelle loro prime prove su disco, capaci negli anni di portare il livello di orchestrazione e ‘pomposità’ della musica a livelli inauditi o comunque impensabili una ventina di anni fa. E’ black metal, il loro? Certo che si, ma a mio avviso per strada si sono persi dei pezzi, l’essenza si è smussata come una pietra preziosa intagliata troppe volte. Ecco quello che si è perso, l’anima del genere musicale. La struttura di una canzone si vede da quelle quattro note che formano il nucleo sonoro del pezzo, per quanto gli si costruisca attorno sarà quel nucleo a tenere in piedi o meno la canzone. Il black è soprattutto questo, un nucleo di materia sonora che a volte è colto in modo tanto elementare da chi lo compone da essere di per sé sufficiente a tenere insieme il brano. A questo hanno puntato questi portoghesi, all’essenza del black. Se ne sono infischiati della registrazione e hanno dipinto delle impressioni, quasi degli abbozzi di tracce. Ma il bello sta proprio qui, nella loto unicità ed essenzialità. Lì dove mancano arpeggi troverete suono ruvido e crudo, dove mancano le orchestrazioni troverete quell’atmosfera che solo la registrazione dal vivo sa dare. Questo è black sotterraneo ridotto ai minimi termini, dove conta solo mostrare il genere nella sua natura di musica estrema ed oltraggiosa in ogni aspetto, controversa quanto enigmatica. Purtroppo mi rendo conto che gruppi come questo non dovrebbero neanche incidere, dovrebbero solo proporre dal vivo, ma ad oggi queste pubblicazioni rappresentano l’unico modo per apprezzare questa musica nella forma in cui è nata decenni fa. Ancestrali.

(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 7,5/10